domenica, Novembre 24, 2024

The Farewell – Una Bugia Buona di Lulu Wang, Festa del Cinema di Roma: recensione

Sono pazzi asiatici malinconici i personaggi che animano la storia di Lulu Wang, scrittrice e regista cinoamericana. The Farewell è un film permeato da piccole bugie in cui l’organizzazione di un matrimonio diventa l’ingannevole sostituto di una veglia. Billi e Nai Nai chiacchierano al telefono, è una conversazione naturale tra una nipote e una nonna che vivono lontane, entrambe fanno del loro meglio per evadere e schivare gli argomenti che le affliggono, Billi si lamenta di imbattersi in un vecchio amico, Nai Nai cerca di coprire le voci che risuonano nell’ospedale dove si trova mentre attende di fare una risonanza magnetica. Nessuna delle due vuole che l’altra sappia cosa l’affigge, la solitudine e una possibile malattia.

Billi, interpretata da una straordinaria Awkwafina capace di annidare nel suo sguardo e nelle pieghe della bocca emozioni nebulose, è una trentenne disoccupata che vive a New York da quando aveva sei anni, suo padre e sua madre sono emigrati lì dalla Cina. Se i suoi genitori si sentono orgogliosi e ormai pienamente inseriti in questa nuova dimensione, Billi dentro di sé ha un sentimento ambivalente alimentato dai ricordi di un’infanzia felice trascorsa altrove.

Nai Nai è malata, ha un cancro ai polmoni, ma la famiglia ha deciso che la vivace matriarca non deve saperlo, un sotterfugio che è sentito come un dovere filiale. A Billi viene chiesto di rinunciare al viaggio in Cina, insistono sul fatto che essendo cresciuta in America sia incline alla trasparenza emotiva di questo paese, un tratto che sua madre, la meravigliosa Diana Lin magnetica come Laurie Metcalf in Lady Bird, ritiene indulgente ed egoista. Billi parte comunque, senza preavviso, arriva giusto in tempo per la cena.

Tutti i personaggi interagiscono tra di loro in grande libertà, muovendosi in questo telaio, danzando goffamente e discutendo tra loro, un agglomerato di familiari estranei e lingue incomprensibili. Le barriere linguistiche e culturali sono centrali nel film di Wang. Esempi ne sono la discussione di Billi con sua madre sulla sua difficoltà di abituarsi alla vita degli immigrati in America quando ancora era piccola e sicuramente in modo più comico dalla sublime attrice Aoi Mizuhara, giovane sposa giapponese confusa che cerca di dimostrarsi coraggiosa di fronte ai futuri suoceri e alla nonna nonostante non capisca una parola di ciò che dicono.

Il conflitto centrale del film però non è ideologico o culturale ma emotivo, la Cina è un luogo di geometrie oscure, di grosse gru e enormi blocchi abitativi brutali, il palazzo in cui vive Nai Nai è ripreso da una prospettiva inquietante che ricorda l’hotel di The Shining. Lulu Wang sembra voler ricordare l’austera e portentosa estetica di Jia Zhangke, diventato famoso per aver raccontato i cambiamenti che hanno mutato il suo paese dopo la grande apertura economica promessa da Deng Xiaoping. È così che Billi scopre al suo ritorno che la vecchia casa della nonna, come tante altre nella rapace campagna di sviluppo abitativo della città, è stata rasa al suolo. Nel mondo di Wang, la casa è inafferrabile quanto la felicità.

I personaggi non sono mai a loro agio, il padre di Billi non vede suo fratello da venticinque anni ed entrambi sono accumunati da uno schiacciante senso di colpa per aver abbandonato la madre, durante il film l’identità di ognuno si frattura sotto il peso di una perdita irrisolta. Billi come gli altri si trova alla deriva tra due mondi, sentendosi come una sconosciuta nella sua terra natale.
La famiglia non implode ma tutti fanno una grande fatica a mascherare il loro dolore sotto le ceneri di un matrimonio che esacerba una sensazione di alienazione e di dionisiaca allegria.
The Farewell è la catarsi soggettiva di fronte alla comprensione di dilemmi più intellettuali che possono aspettare.

Francesca Fazioli
Francesca Fazioli
Laureata nelle discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo, ha frequentato un Master in Critica Giornalistica all'Accademia d'arte drammatica Silvio D'Amico e una serie di laboratori tra cui quello di scrittura cinematografica tenuto da Francesco Niccolini e Giampaolo Simi. Oltre che con indie-eye ha collaborato e/o collabora scrivendo di Cinema e Spettacolo per le riviste Fox Life, Zero Edizioni, OUTsiders Webzine

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