Primo film in concorso al Trieste Film Festival 2014, presentato in anteprima al Festival di San Sebastián 2013, The Gambler è il secondo lungometraggio del lituano Ignas Jonynas, regista di cinema e di teatro e allievo di Krzysztof Zanussi a Varsavia.
Film provocatorio e a suo modo seducente quello di Ignas Jonynas, per ciò che racconta e per come lo racconta, fa pensare a Dostoevskij per il tema comune, il demone del gioco che avvolge in una rete inestricabile il protagonista.
Il parallelo, però, finisce qui. Mondi lontanissimi fra loro, qui siamo al grado zero della miseria morale, una black comedy che ha tutte le parvenze della normalità nella sua allucinata follia.
E’ la storia di un gruppo di paramedici di un pronto soccorso che danno vita ad un giro di scommesse decisamente inconsueto, ma di certo capace di produrre un bel po’ di danaro.
Si tratta di puntare sulla data del probabile decesso di pazienti con alta aspettativa di morte. Il calcolo si regge su informazioni mediche a cui hanno facile accesso, e così l’età, il tipo di malattia e la gravità delle lesioni riportate se si tratta di incidentati, diventano parametri fondamentali non per diagnosi e prognosi, ma per scommesse on line in crescita esponenziale di volume, gestite da terminali assemblati artigianalmente nel sotterraneo del nosocomio.
Vincentas (Vytautas Kaniusonis), il protagonista, nel lavoro è il migliore fra i colleghi, gli hanno dato per la nona volta di seguito il premio annuale dell’ospedale, ma la sua passione per il gioco l’ha riempito di debiti, l’usuraio lo tallona con pugno di ferro, inventare un modo facile per far soldi sfruttando il vizio suo e dei compagni diventando bookmaker può essere una soluzione. I conti però non tornano più quando Ieva (Oona Mekas), collega con cui ha un bel legame pulito, scopre le bugie che Vincentas ha inventato per darle il denaro necessario a curare il figlio malato. Il ritmo narrativo a questo punto cresce fino a diventare un vortice, mentre la telecamera incalza l’incrinarsi del destino dei due continuando a girare intorno a loro come impazzita. Questo di Jonynas è cinema di denuncia duro, raggelato, prodotto di un mondo in cui la pietà è sparita, all’essere si è definitivamente imposto l’avere e questioni etiche circa il valore della vita sono diventate merce avariata.
Il destino di Ieva, Vincentas e del piccolo, che guarda silenzioso quel mondo incomprensibile, è ben presto segnato in questo universo nero, privo di spiragli, dove la disconnessione con la realtà è totale e la miseria di una società che ha metabolizzato il male in tutte le sue gradazioni sfila in molteplici declinazioni. Dalla proprietaria dell’appartamento che reclama l’affitto e butta Ieva in strada con i suoi pochi cenci, al medico che la ricatta sessualmente, al locale del karaoke dove si passano le serate ad abbrutirsi bevendo, tutto rimanda ad una dimensione di totale deprivazione del senso morale e solidale del vivere. Da qui a scommettere anche sulla fine di un collega gravemente infortunato il passo è breve. Un frammento dello scarno dialogare nel film è rivelatore. Al collega che tenta di opporsi senza troppa convinzione alla scommessa sul compagno morente dicendo: “Ma è uno di noi”, Vincentas ribatte, noncurante: “Che importa? Ognuno dei nostri casi è qualcuno di altri”
C’è, sotteso alle immagini, un grado di violenza così totalmente metabolizzata da assumere parvenza di normalità. L’avvertiamo nel disagio strisciante che cresce man mano, fino a diventare la nota dominante, modulata con l’uso frequente di scene al rallentatore seguite da cambi repentini, riprese veloci e nervose, momenti di insopportabile crescendo sonoro seguiti da calma profonda, affidata al tema dell’acqua e del mare, come nel finale. E’ l’alienazione dell’ “ognuno per sé”, la reificazione del vivere associato, il frutto velenoso dell’annullamento di ogni clausola del contratto sociale.
Il trionfo finale dell’ homo homini lupus. La vita del giocatore di Dostoevskij non aveva scopo fuori dai casinò, solo alla roulette trovava il suo senso, affidata com’era alla sorte e alla casualità. In qualche strano modo sopravviveva in lui un’alterata e nevrotica dignità. La vita dei nuovi giocatori non ha neppure questo, il gioco è piegato al brutale obiettivo del guadagno a tutti i costi. Sporchi, maledetti e subito è il nuovo imperativo categorico. Vincentas fornisce al film un finale inatteso. Forse non il più adeguato alla forza compatta che aveva tenuto stretto il film fino a quel punto, un finale aperto avrebbe forse evitato derive melodrammatiche.