lunedì, Novembre 25, 2024

The Hallow di Corin Hardy: la recensione

The Hallow, conosciuto anche come The Woods è il primo lungometraggio dell'irlandese Corin Hardy. Horror prostetico in piena regola, fonde live action e tecnica stop-motion come se fosse una lotta interna all'immagine stessa, tra realismo e l'iper realtà di un cartoon.

Corin Hardy è un’affermato videomaker e autore di videoclip. A più riprese si è servito delle tecniche d’animazione in forma artigianale, dal passo uno per Warrior Dance dei Prodigy fino alla puppet animation per Paolo Nutini. Il suo lungometraggio d’esordio integra parte di questo approccio per un horror di tradizione prostetica, riducendo al minimo indispensabile i ritocchi digitali e guardandosi indietro verso certo cinema anni ottanta, senza replicarne in toto le atmosfere, ma applicandole alle necessità di un folktale di matrice tradizionale, tanto che la fragilità del plot sembra servigli per dare vita all’inanimato e raccontare il brulicare autoctono della foresta contro la presenza della modernità, contrasto che diventa del tutto esplicito nella parte conclusiva del film che esonda dai titoli di coda.

Adam Hitchens (Joseph Mawle) è un medico degli alberi trasferitosi con la moglie Clare (Bojana Novakovic) e il piccolo Finn in una casa ai margini del bosco. Impiegato da una società di costruzioni, ogni giorno raccoglie campioni della flora locale per valutare il livello di disboscamento possibile del sito, nonostante le proteste di alcuni vicini, molto attenti a rispettare il ruolo sacro e misterico del bosco.

Il primo contatto con le mutazioni organiche dell’ambiente è quello con la carcassa di un cervo fusa tra il legno e la parete di un vecchio rifugio. Incuriosito dall’assimilazione delle materie organiche, preleva un campione e scopre la proliferazione di un parassita, molto simile per fisiologia e diffusione all’Ophiocordyceps unilateralis, il fungo killer che occupa alcuni insetti fino ad arrivare al loro cervello e ad esplodere in una nuova nascita.

Su queste basi, Hardy mette insieme certo cinema della mutazione (da Cronenberg a Clive Barker) declinandolo dal punto di vista di un omaggio eretico a Jiří Barta, dal quale desume non solo alcune tecniche d’animazione ma anche la presenza dell’elemento ligneo come base di sviluppo per tutto il mondo creaturale che si annida all’interno della foresta stessa.
Tutte le mutazioni a vista assumono di volta in volta la qualità di una massa indistinta di anti-materia che corrode le fondamenta della casa, le travi portanti e infine gli stessi ospiti la cui disgregazione punta verso l’inesorabilità.

Le rare installazioni umane si riferiscono ad un gruppo ristretto di vicini, asserragliati in casa e in uno stato reverenziale rispetto alla presenza della foresta, confine oltre il quale non è possibile spingersi ma che allo stesso tempo rappresenta una dimensione inviolabile.

Più che allo sviluppo narrativo, Hardy è interessato ai dettagli, alla claustrofobia degli ambienti e alla putrescenza come occasione ulteriore di vita e trasformazione; tra tutte, la sequenza in cui il bambino che si è sviluppato come un ultracorpo, torna nuovamente alla natura decomponendosi e germogliando nuove diramazioni vegetali.
Al di là del significato, più o meno esplicito, è interessante valutare la centralità di un cinema dalla prassi artigianale, con l’immagine e i corpi lentamente occupati dal movimento incerto dello stop-motion e la mutazione affidata al cambiamento degli elementi organici.
Al netto dei numerosi riferimenti, da Sam Raimi a moltissimo cinema d’animazione, passando per la prostetica di Rick Baker e Stan Winston, quest’ultimo ringraziato nei crediti finali insieme a Dick Smith e a Ray Harryhausen, quello di Hardy sembra un cinema dalla fiera resistenza immaginifica, dove alla trovata intelligente si preferisce la forza creativa, tangibile e materiale, legata alle possibilità visionarie della trasformazione. Basta pensare a come viene elaborata, in forma totalmente ludica, la lotta tra diversi organismi cellulari osservata al microscopio, più simili all’iperrealismo di un cartoon che al realismo scientifico.

Rispetto al Babadook di Jennifer Kent, The Hallow occupa una posizione simile in termini visivi, ma riducendo al minimo le ambizioni sociologiche nonostante la centralità del nucleo famigliare. A dimostrazione che l’interesse di Hardy risiede da tutt’altra parte, l’amore e la vicinanza che il regista irlandese dimostra per le creature del bosco, figure dolenti tra umanità, bestialità e natura, da sole e senza troppe derive concettuali, esprimono tutto il valore amorale e autoctono della foresta, escrescenze e proliferazioni tumorali incluse.

The Hallow – Trailer

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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