“The Act of Killing” di Joshua Oppenheimer era una delle rivelazioni del Festival di Berlino 2013, il film del documentarista Texano residente in Danimarca, presentato in anteprima al Telluride 2012 e sostenuto dalla produzione esecutiva di Werner Herzog ed Errol Morris si è imposto in breve tempo come uno dei titoli più interessanti che affrontano quella relazione spesso complessa tra documentazione e Storia. Ispirato alle esecuzioni ai danni del partito comunista Indonesiano del ’65 per opera dell’organizzazione paramilitare Pancasila Youth, guidata da Anwar Congo, coinvolgeva i carnefici di quegli anni in una messa in scena di quei fatti tra reinvenzione cinematografica, testimonianza diretta e racconto storico. Come scrivevamo, Oppenheimer, spingeva la realizzazione del suo film in un pericoloso territorio di confine che alludendo alla scuola di Peter Watkins e in parte ai “Mondo” di Jacopetti & Prosperi, cortocircuitava cinema di finzione e cinema documentario, in una prospettiva storiografica soggettiva e positivamente contradditoria. Oppenheimer aveva lavorato al film per circa otto anni, garantendo l’anonimato per molti indonesiani coinvolti nella realizzazione, per preservarli da ripercussioni violente da parte di quella classe politica che aveva tratto vantaggi diretti dai crimini commessi. Lo stesso Oppenheimer, dopo aver sollevato nuovamente la questione grazie alla distribuzione internazionale di “The Act of Killing”, aveva ricevuto numerose minacce di morte attraverso i social network, tanto da non sentirsi affatto sicuro relativamente ad un suo possibile ritorno in Indonesia.
Il nuovo film di Oppenheimer parte da una collocazione simile, lavorando ancora una volta sulla stessa società indonesiana ma da un punto di vista diverso da quello del precedente film. Se “The Act of Killing” si concentrava sui carnefici, la prospettiva di “The Look of Silence” è quella che coinvolge le famiglie dei sopravvissuti ai massacri, ovvero, come ha dichiarato Signe Byrge Sørensen, CEO della Final Cut For Real di Copenhagen e co-produttrice del film, Oppenheimer indaga questa volta la convivenza tra le vittime e i carnefici di quegli eventi: “il film ha una forza emozionale vicina a quella di The Act of Killing, ma è molto diverso per il modo in cui racconta l’origine dei fatti del ’65; ma al di là di questo è un’opera del tutto autonoma che non rende necessaria la visione del film precedente per essere compresa”.
Oppenheimer ha girato “The Look of Silence” prima di “The Act of Killing”, proprio per prevenire le ripercussioni che si sarebbero potute verificare se avesse fatto ritorno in Indonesia; da questo punto di vista utilizza quindi una tecnica del racconto molto diversa dal film precedente e si allinea maggiormente al lavoro storiografico che avrebbe voluto fare per offrire una visione complessiva sugli eventi storici. Concentrato sopratutto su una famiglia di sopravvissuti che scoprono l’identità degli assassini del figlio grazie alle testimonianze di alcuni carnefici filmati dallo stesso Oppenheimer prima di entrare in contatto con Anwar Congo, il film ha ancora la produzione esecutiva di Morris ed Herzog ed è una delle anteprime mondiali più attese nell’ambito del concorso ufficiale della 71ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica diretta da Alberto Barbera e organizzata dalla Biennale di Venezia dal 27 agosto al 6 settembre 2014.