Carla Nowak attraversa gli spazi dell’ambiente scolastico come se fosse in un campo di battaglia.
Tutta la tensione che Ilker Çatak costruisce con i tempi di un thriller, si scioglie solamente quando l’insegnante entra in aula e interagisce con gli alunni grazie ad un metodo diretto, coinvolgente e continuamente collocato sul piano dello scambio dialettico nel suo farsi.
Ma lo spazio ideale della classe, come momento di costruzione circolare del sapere, si infrange in breve tempo con la pressione fisica e simbolica dell’edificio, organismo di vetro e cemento dove le trasparenze architettoniche non collimano con la ridefinizione del proprio ruolo in uno spazio sociale comune. Al contrario, il corpo docenti, la direttrice, la segreteria ed infine gli alunni, sono isolati in un gioco di ruolo che schiaccia l’applicazione delle norme, tra la tolleranza zero del codice disciplinare e il suggerimento della delazione come prassi facoltativa per comminare pene.
L’apparente tutela dei minori, intoccabili e allo stesso tempo spinti a compiere azioni estreme attraverso la pressione psicologica, nasconde la distanza tra corpi e la paura del contatto allestita nel teatro del sistema educativo contemporaneo. Ilker Çatak lo attacca frontalmente e si affida ad una vibrante Leonie Benesch per attraversarne tutte le contraddizioni e le fragilità.
Non percorre un tracciato binario, ma smonta, letteralmente, ogni ipotesi criminogena di fronte ai reiterati furti che avvengono anche nella sala professori, elaborando la messa in abisso delle evidenze.
Rispetto alle utopie sottese da certo Cinema dedicato al sistema educativo, Das Lehrerzimmer sembra affrontare la definizione di metodo come arma distruttiva che annichilisce la realizzazione del singolo, per instaurare una guerra tra docenti e discenti. I genitori, parte integrante del conflitto, diventano un ostacolo per l’integrità dei professori e allo stesso tempo, complici del sistema educativo stesso, che riduce i figli a cavie.
Ogni tentativo di conciliazione, rischia di mettere in pericolo la sopravvivenza di una parte del meccanismo, tanto da spingere verso il fallimento tutti i gesti della Novak, orientati a sovvertire questo codice di realtà.
Nel gioco di forze non si salva nessuno e dalla produzione del giornalino scolastico fino alla tentazione di attivare forme autogestite di videosorveglianza, tutto conduce alla distorsione, all’arresto comunicativo, alla sfiducia preventiva e alla rivolta violenta come reazione.
La scuola raccontata dal regista di origini turche è un microcosmo che già contiene tutti i guasti di una società votata ad un’interpretazione penale della realtà, alla creazione di profili problematici e criminogeni, alla presunta solidità del metodo come mezzo principale di esclusione e selezione.
Nowak, che crede ancora nelle possibilità del dialogo, pur non essendo immune dal circolo vizioso del controllo, cerca di spezzare gli argini del fortino, con un progressivo avvicinamento alle ragioni della violenza di cui si sente parte in causa.
Ecco che tutti i personaggi, confinati in un 4/3 funzionale alla dimensione concentrica dell’architettura scolastica, sono spietati e fragilissimi, intransigenti e disorientati.
Non c’è un colpevole, se non una convergenza di azioni che determinano l’esercizio dell’abuso in tutte le sue manifestazioni.
La scuola, spazio gerarchizzato a partire dalla morfologia degli ambienti studiati per un’educazione frontale, viene filmata come realtà fisica già enunciata dal potere, impossibile da frequentare trasversalmente cercando una propria collocazione nel mondo.
In un sistema votato alla schematizzazione delle sue funzioni, il bambino più promettente della classe può diventare quello più problematico, l’insegnante più aperta alla dissoluzione dei ruoli, quella che innesca il virus del controllo, la segretaria più efficiente una potenziale ladra, ma anche una madre che spinge il figlio alla rivolta, la sperimentazione collettiva del giornalino studentesco, il principale propellente del falso.
Se la risoluzione del cubo di Rubik , tra logica e ingegno, può essere la chiave per aprirsi a miliardi di possibilità interpretative, il sistema scolastico preferisce la rimozione forzata dall’anomalia.
The Teacher’s Lounge è un film sostenuto dalla geometria causale di un effetto domino, ma vivissimo, perché nella descrizione di una scuola che collassa sulla perversione della realtà, descrive la sofferenza e le azioni di resistenza di un’umanità che può ancora salvarsi.
The Teacher’s Lounge di Ilker Çatak (Das Lehrerzimmer, Germania 2023 – 94 min)
Interpreti: Leonie Benesch, Leonard Stettnisch, Eva Löbau, Michael Klammer, Anne-Kathrin Gummich
Sceneggiatura: Johannes Duncker, İlker Çatak
Fotografia: Judith Kaufmann
Montaggio: Gesa Jäger