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Thunder Road di Jim Cummings: recensione

Jim, poliziotto sull'orlo di una crisi di nervi vuole disperatamente essere accettato come figlio, padre, collega, fratello e come uomo. Instabilità di un personaggio che abita con furore una stand-up comedy rude, agonizzante e assolutamente divertente. Da oggi su Wanted Zone, on demand.

Thunder Road è una commedia drammatica scritta, diretta e interpretata da Jim Cummings e ispirata al cortometraggio omonimo del 2016 vincitore al South by Southwest (SXSW) e al Sundance festival dove l’allora membro della giuria Keegan-Michael Key affermò “Non abbiamo idea chi tu sia (…) ma questo film è come un Gesamtkunstwerk” – un’opera d’arte totale.

Molti i film di animazione e di supereroi che riempiono da tempo le sale, molti meno quelli che ci regalano una vera e propria catarsi con sceneggiature oneste, divertenti, commoventi e brillanti insieme. Tutto questo è Thunder Road, che nasce come rielaborazione/studio di un full-lenght character sviluppato nel corto omonimo. Le riprese sono avvenute in due settimane ad Austin, Texas per un costo di duecentomila dollari. Lontano da Hollywood, dunque, per una distribuzione indipendente il cui linguaggio diventa un manifesto per un’intera generazione di giovani filmmakers.

Tra le fonti di ispirazione, non a caso, Cummings cita l’attore e regista Mark Duplass e il suo Keynote (2015), ma anche i personaggi televisivi di David Brent (The Office) e Steve Coogan (I’m Alan Partridge), per la costruzione del personaggio protagonista.

Un lungometraggio che invoca compassione per Jim Arnaud, un agente di polizia evidentemente instabile, in un periodo storico particolarmente sensibile alla rabbia dell’uomo in divisa, quella incontrollabile che anima le prime pagine dei giornali di tutto il mondo (con particolare riguardo per gli Stati Uniti, pensiamo a George Floyd, tra gli altri). Nonostante questa lettura attuale, il film non si presenta come una condanna dell’abuso di potere: Thunder Road esplora, invece, l’angoscia di un uomo che il regista/interprete stesso definisce goffo, ubriaco, autoritario e armato di cui non giustifica le sfuriate, ma beneficia di una costante e tenera commiserazione.

Jim ha ben chiari gli ostacoli del vivere quotidiano, tra meschinità e fallimenti che si accumulano fino a diventare, paradossalmente, un’ancora di salvezza e di giustificazioni. Nel privato, fatica a comunicare con la figlia Crystal (Kendal Farr), e con la quasi ex moglie Rosalind (Jocelyn DeBoer); a lavoro vogliono che si prenda una pausa e solo l’amico (anche nella vita reale) e collega Nate (Nican Robinson) gli resta a fianco e lo protegge. La macchina da presa, tra soggettive e piani ravvicinati, ci accompagna nell’animo turbato del personaggio sull’orlo di una crisi di nervi, Jim vuole disperatamente essere accettato come figlio, padre, collega, fratello e come uomo.

La lunga inquadratura iniziale, un piano sequenza di 12 minuti, prende il via durante il funerale della madre di Jim e funziona quasi come un abstract che anticipa l’instabilità emotiva e disperata del personaggio, in una sorta di stand-up comedy rude, agonizzante e assolutamente divertente. Un’introduzione perfetta perché, nel suo essere bizzarra, definisce immediatamente il leit motif dell’intera narrazione, come una sorta di avvertimento per lo spettatore. Non solo, è possibile riconoscere noi stessi in coloro che esprimono dispiacere per l’accaduto, un microcosmo che ci mostra come, spesso, non siamo in grado di sostenere una crisi altrui, ci guardiamo intorno o facciamo dell’ironia. In questo caso c’è anche chi filma un momento imbarazzante e volutamente comico come la coreografia senza musica di un figlio dinanzi la bara della madre, un tempo insegnante di danza, per renderle omaggio.

Solo questa prima scena ha richiesto 8 ore di riprese, 18 take che, inizialmente, includevano il brano di Bruce Springsteen che dà il titolo al film, parte integrante del precedente corto. Il cantautore aveva dato loro il permesso la prima volta, ma per non “disturbarlo” nuovamente, le successive 8 riprese del film vennero realizzate senza la canzone. La musica arriva nel momento catartico della pellicola con il brano Skinny Love di Bon Iver, strategicamente inserito alla fine, in corrispondenza di una sorta di redenzione.

Cummings cattura quel connubio di tragedia e commedia spesso sfuggente e fa piangere il suo personaggio, notevole se pensiamo ai costrutti di genere che associano il pianto e l’isteria al solo sesso femminile. Il racconto si distacca da questo cliché dando voce alla difficoltà di un uomo che si destreggia tra una forte sensibilità e un desiderio di virilità, incarnata dall’amico Nate. Le sue relazioni con il sesso femminile vanno dall’atteggiarsi a salvatore mosso dal buon senso, a consigliere che dissemina consigli paterni; atteggiamenti che non vengono fatti coincidere con un concetto di debolezza, ma con la volontà di incoraggiare le donne della sua vita a perseguire le proprie passioni.

Ma nei momenti in cui cerca di sfuggire alla dura realtà che implica il dover accettare le sue debolezze, Jim diventa ostile, senza voler risultare insostenibile agli altri, in tal senso emblematica è la scena che lo vede alla prese con l’insegnante di Crystal (Macon Blair), incontro che si trasforma in una specie di seduta di psicanalisi. Non è difficile pensare ad altri prodotti cinematografici in cui l’aggressività repressa e la pressione sociale conducono a un’esplosione fisica ed emotiva che rende l’uomo un mostro, come nel caso del “Joker” (2019) di Joaquin Phoenix, o di Michael Douglas in “Un giorno di ordinaria follia” (Falling Down, 1993). Jim, però, non vuole fuggire dalla realtà, ma prova a destreggiarsi tra la tristezza e la rabbia, alla ricerca di uno stralcio di normalità.

La cultura del sud è predominante, lo stesso Cummings è di New Orleans, l’educazione e le aspettative della cultura del sud sono impersonate dal Jim poliziotto, una figura molto vicina al regista o a quello che sarebbe potuto diventare. Una realtà, dunque, ben conosciuta che Cummings stesso dice di aver sempre osservato, da esterno, soprattutto in relazione ai giocatori di football del liceo, uno sport che porta con se un carico di machismo e aspettative notoriamente considerevole.

La scelta di approfondirla, portandola sullo schermo, la umanizza, ma ne mostra anche il lato patetico. Thunder Road usa la comicità per legare insieme sincerità e rendenzione in un contesto di negazione e depressione che diventa accettazione alla fine del film. Le pause e i momenti comici del film prendono vita da un’attenta analisi delle location durante i sopralluoghi, ambienti con un loro sottotesto per una costruzione cinematografica in costante evoluzione.

L’alternanza tra regista e interprete ha permesso a Cummings di mantenere un certo sprint per buona parte del film e insieme di validare ogni singola ripresa. Non avendo buona praticità con la fase di scrittura, ha sceneggiato il tutto girando video con il suo Iphone, per una storyboard audiovisiva. Ha poi registrato tutta la sceneggiatura in un podcast a cui ha aggiunto, in seguito, musica e suono. In questi podcast interpreta da solo tutti i ruoli, tecnica risultata funzionale soprattutto rispetto al poco budget a disposizione, dando la possibilità agli attori di ascoltare la propria parte prima di girarla, incanalando le volontà del regista riguardo l’interpretazione da mettere in scena.

Un linguaggio cinematografico consolidato: i movimenti della macchina da presa sono evidenti, con molti zoom che animano le scene mute. Il tutto si origina, racconta il regista, dalla sensibilità del direttore della fotografia, Lowell A. Meyer, suo storico collaboratore. Quando Jim inizia a ballare nella cappella, ad esempio, la macchina da presa segue il suo braccio che mima l’armonica fino ad arrivare allo sguardo attonito di quella che capiamo essere la moglie. Una vera e propria coreografia cinematografica.

Cummings porta a conoscenza e condivide la possibilità di scendere a patti con le proprie vulnerabilità, favorendo l’espressione al posto della repressione, l’umanità al posto dell’umiliazione.

All the redemption I can offer, girl, is beneath this dirty hood
Bruce Springsteen – Thunder Road

Thunder Road di Jim Cummings (USA, 2018 – 92 min)
Sceneggiatura: Jim Cummings
Fotografia: Lowell A. Meyer
Montaggio: Dustin Hahn e Brian Vannucci
Interpreti: Jim Cummings (II). Con Jim Cummings (II), Kendal Farr, Nican Robinson, Jocelyn DeBoer, Chelsea Edmundson, Macon Blair, Ammie Leonards, Bill Wise, Jordan Ray Fox

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Amalia Cipriani ha una laurea magistrale in Cinema, Televisione e Produzione Multimediale conseguita all'Università di Bologna. Ha frequentato un Master in promozione e digital Marketing per il Cinema. Oltre che per indie-eye, scrive di cinema per altre realtà online
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