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Tiziano Sclavi & Emiliano Mammuccari – Zardo: recensione

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Nero.” rigorosamente con il punto, come ci tiene a specificare Tiziano Sclavi, diventa un film diretto da Giancarlo Soldi nel 1992. Quello che è anche il quinto romanzo dello scrittore di Broni, se si escludono le due antologie di racconti pubblicate agli inizi degli anni settanta, era stato concepito come una sceneggiatura “raccontata minimamente” e in forma molto scarna. Lo racconta lo stesso Sclavi in “Più nero che Giallo“, l’intervista contenuta tra gli extra del dvd di “Nero.” pubblicato da RHV. 

Inizialmente concepito come fumetto suddiviso in lunghi episodi, doveva esser disegnato da Claudio Villa, copertinista ufficiale di Dylan Dog. Non aveva un finale “perché era una specie di telenovela macabra ricca di umor nero e che doveva proseguire“.

A distanza di quasi trent’anni Sclavi torna a lavorare sul progetto che lui stesso definisce come “transmediale” recuperando l’idea originaria del fumetto, grazie ad un ritrovamento fatto dallo stesso Soldi, dalle cui carte è emersa un’ulteriore sceneggiatura concepita per una serie di tavole. 

Zardo“, pubblicato lo scorso marzo da Sergio Bonelli Editore, prende il titolo dal cognome del protagonista di “Nero.” soggetto dall’identità mobile, maschera possibile che nel film di Giancarlo Soldi assume il volto di Sergio Castellitto. I disegni sono di Emiliano Mammuccari, artista Bonelli e autore, tra le altre cose, di “Orfani”, la mini-serie a colori creata da Roberto Recchioni. 

La dimensione minimale della sceneggiatura per il film era stata concepita per lasciar libero Soldi di immaginarsi le proprie inquadrature, libertà che è sottoposta ad un diverso equilibrio, se si fa fede alla “severità” che Sclavi dichiara nella già citata intervista, quando si riferisce al lavoro con i fumetti, dove assume il controllo e determina le scelte “registiche”.

Ora che il confronto tra i tre testi diventa possibile, Zardo ci è sembrato sorprendente per il taglio feroce e secco degli snodi narrativi. Questi accentuano la fluidità identitaria del personaggio principale, costretto suo malgrado ad abitare situazioni e mondi che gli sono apparentemente estranei o comunque frutto di una scissione violenta tra realtà fenomenica e memoria.

Lo sconfinamento che nel film di Soldi si verificava tra distacco e adesione alla maschera del personaggio, consentiva a Castellitto di entrare e uscire da un sub-plot all’altro, seguendo l’andamento di un racconto circolare e picaresco declinato con i toni, anche musicali, di una commedia nera padana.

In “Zardo” questo incedere viene in parte sostituito dalla dimensione onirica più oscura, avvicinandosi maggiormente alle afasie del noir, alla perdita improvvisa della dimensione cosciente, alla variabilità soggettiva della memoria dove le tracce di conflitti irrisolti ne generano, a spirale, altri, tanto da risultare più “immersivo” e spiazzante.

Questo non significa che l’umorismo sclaviano venga meno o che giochi una parte marginale, tutt’altro, ma sconfina maggiormente con l’improvvisa esplosione di crudeltà, anche grafica, che nel film di Soldi subiva una separazione netta tra il tono scanzonato delle situazioni e quello più scuro delineato dal lavoro fotografico di Luca Bigazzi.

La svagatezza di Francesca, per esempio, mantiene certamente le caratteristiche sfuggenti incarnate da una sfrenata energia dionisiaca, abitata nel film da un’esuberante Chiara Caselli, ma viene definita con maggiore drammaticità nel passaggio dal gioco alla crudeltà, dall’erotismo al sangue.

Si rimane intrappolati nella perdita di coordinate causata da un trauma invisibile, dove l’identità dell’eroe è vacante e possibile nello scambio di polarità tra spinta vitale ed energie distruttive. Reduce di se stesso, Zardo procede dentro una cornice che forse gli appartiene solo in un’altra vita, sostituendo corpi, indizi, cadaveri, tracce di un delitto mai compiuto o forse ri-vissuto all’infinito. 

La forza del fumetto risiede proprio nell’amplificazione di questa realtà escheriana che si manifesta per slittamenti progressivi; una dimensione narrativa potente e istintiva, libera e selvaggia che dischiude finalmente tutte le potenzialità seriali del lavoro di Sclavi. 

Anche se si affronta “Zardo” con la memoria ancorata ai personaggi e alle situazioni di “Nero.” la centralità di questa idea nomadica rappresenta una vera e propria sorpresa.

Le possibilità e le porte del racconto sono nuovamente aperte.

La prima edizione di “Zardo” è stata pubblicata da Sergio Bonelli Editore nel marzo 2020. Il fumetto occupa 50 pagine a colori nella cornice di un volume di grandi dimensioni, rilegato in copertina dura. In appendice le fotocopie della sceneggiatura originale scritta da Tiziano Sclavi, che Giancarlo Soldi ha riesumato dalle sue carte. Molto interessante la descrizione dei personaggi, indicati come al di là del bene e del male e travolti dal flusso narrativo delle situazioni. Milano diventa una città irriconoscibile, senza riferimenti monumentali espliciti e il confine ben delineato tra il caos urbano e il mistero della campagna. Sclavi definisce Zardo quasi come un luogo più che come un personaggio: il paese dell’angoscia. In questo senso il lavoro sui colori accentua la dimensione dell’incubo con tonalità verdastre o violacee che interpretano perfettamente l’ambiguità della notte. Sclavi fornisce indicazioni sul taglio grafico, sull’attenzione al dettaglio e definisce lo stile adatto al fumetto come nervoso, velocissimo. 

Più volte cita “Blood Simple” dei fratelli Coen come riferimento elettivo. Se si osservano i tratti di alcuni personaggi disegnati da Mammuccari, la figura del detective D’Ambrosi sembra in effetti modellata sul volume corporeo di M. Emmet Walsh e sulla sua feroce resistenza. Sempre da Blood Simple sembra provenire la dimensione incongrua dello spaziotempo narrativo, con morti che ritornano e cadaveri che scompaiono, ma è fortunatamente meno evidente il gioco metadiscorsivo. Al contrario, come scrivevamo, l’idea di un incubo dove le coordinate razionali si inceppano, assume caratteristiche selvagge e istintive, più vicine alla scrittura surrealista.

Chiude il volume una bella pagina di Emiliano Mammuccari intitolata “1990”, dove il talentuoso disegnatore spiega il lascito culturale e generazionale di quel decennio e come si sia ispirato a quei codici, tornando al disegno manuale, tra pennelli e pennarelli a scalpello. Viene recuperata quindi una prassi linguistica ed espressiva specifica, di taglio apparentemente classico, ma allo stesso tempo capace di interpretare gli elementi più taglienti del testo e il feroce dinamismo delle situazioni.
Siamo convinti, con Mammuccari, che questo salto temporale abbia investito “Zardo” di una luce nuova.

Fine?