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Tom Medina di Tony Gatlif: recensione #Cannes2021

Tom Medina diventa è un film che passa come un pomeriggio in aperta campagna, alla ricerca di quei piccoli grandi eventi che ne decretano la riuscita, come il fallimento. Libero e impossibile come i volontari che tolgono la plastica dalle spiagge per salvare il pianeta, non comincia né finisce. A Cannes 2021, nella sezione Cinéma della Plage. La recensione

La forma della musica e il dramma di filmare l’improvvisazione. Nel cinema nomade di Tony Gatlif l’origine del suono affonda le radici negli infiniti rimandi che emergono attraverso l’esperienza musicale, come dimensione esclusivamente performativa. Questa non è mai originaria, ma parte di continue separazioni, incontri successivi, estetiche sempre in bilico sul confine dell’unica forza che ne decreta la nascita e la metamorfosi: il viaggio.

Il sincretismo culturale che individua echi Sufi nella musica spagnola, sin dai primi film del regista apolide francese, è lo stesso che ci restituisce personaggi dilaniati, sospesi tra due, tre terre e capaci di trovare requie solo nello spazio che li congiunge, quello a perdita d’occhio della strada, orizzonte che apre e chiude tutti i suoi film, come movimento senza approdo.

Tom Medina è solo l’ultimo di una lunga galleria di figure, modellate sulla scia dello straniero pazzo, quel Gadjo Djlo al centro di un’innominabile flanerie, alla ricerca di un suono impossibile da registrare e storicizzare. Quello stesso suono, è in molti casi l’energia inafferrabile del cinema di Gatlif; finisce infatti per volare sull’immagine, che ne assume il riflesso e l’essenza.

Inviato da un tribunale giovanile nella fattoria di Ulysse, Tom Medina cerca di assimilare maggiore disciplina a contatto con la gestione organizzata della natura.
Mentre Ulysse è un uomo gentile, che ha imparato a trovare equilibrio tra libertà e le regole della convivenza, la ribollente energia di Tom cerca costantemente un punto di fuga, sin dalla prima sequenza dove si sostituisce ad un torero appena uscito dall’arena per aver visto un gatto nero, durante lo svolgimento della corsa camarghese.

Questa sostituzione improvvisa, determinata da una costante ludica che attraversa tutto il film, imposta una tonalità giocosa e inventiva come nel teatro di strada, abbandonando la dimensione tragica di Vengo e avvicinandosi maggiormente a quella forza chtonia e combinatoria che incendiava il precedente film di Gatlif, lo splendido Djam.

Rispetto a quella sfrontata celebrazione del femminile, Tom Medina è forse un film maggiormente riassuntivo e meno sperimentale, ma mantiene intatte tutte le qualità migliori del cinema di Gatlif, in quel continuo entrare e uscire dai confini narrativi.

Prima ancora che il destino possa tramutarsi in evento, Tom esce dalla storia, anche quella personale legata ad un’origine sofferta, per rilanciare la separazione e il distacco, come possibilità di vita.

Proprio quando la rivelazione sul proprio percorso assume le connotazioni di una fuga necessaria dalla società, anche quella che potrebbe accoglierlo amorevolmente, l’indomito personaggio minacciato da un toro che gli appare durante una serie di sogni lucidi, cambia nuovamente idea e si avventura in un percorso d’amore di cui non sapremo niente, se non attraverso la forza del radicamento terrestre che la strada ci suggerisce.

La musica subisce una disseminazione tra personaggi e rimario. Da una parte il bizzaro growling di Karoline Rose, musicista che nel film interpreta la figlia di Ulysse, mentre nel suo piccolo studio offre alcuni momenti in cui il metal incrocia la scansione ritmica della musica gitana. L’urlo brutal “folk” di Karoline si confonde spesso con le continue fughe di Tom nell’intento di costruire una relazione tra immagini che possano accordarsi con la forma pulsante del suono.
In Vengo era un dialogo simmetrico tra l’innesco del flamenco e il ritmo di un film interamente costruito sull’idea di battito, dalla musica ai motori, fino ai numerosi momenti di ballo.
In Tom Medina la musica permea i sentimenti e l’azione dei personaggi con la stessa forza illusionistica del teatro di burattini, forma d’arte popolare che nel film diventa momento vero e proprio di vita e chiave di lettura della realtà.

Il propellente slapstick del film, da una parte genera una serie di piccoli numeri conclusi, ma è la comicità leggerissima come il vento o il gramelot di un ventriloquo a liberarli dai confini della forma.

Tom Medina diventa allora un film che passa come un pomeriggio in aperta campagna, alla ricerca di quei piccoli grandi eventi che ne decretano la riuscita, come il fallimento.
Libero e impossibile come i volontari che tolgono la plastica dalle spiagge per salvare il pianeta, non comincia né finisce.

Tom Medina di Tony Gatlif (Francia, Svizzera, 101 min. 2021)
Interpreti: David Murgia, Slimane Dazi, Karoline Rose, Suzanne Aubert

RASSEGNA PANORAMICA
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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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