venerdì, Novembre 22, 2024

Una promessa di Patrice Leconte: la recensione

Stefan Zweig comincia a lavorare a “il viaggio nel passato” (Widerstand der Wirklichkeit) nel 1924, novella che verrà pubblicata parzialmente cinque anni dopo all’interno di un’antologia dedicata ad alcuni scrittori Austriaci e integralmente nel 1976 a trenta anni dalla morte, dopo essere stata ritrovata tra le sue carte.
Come in molti racconti dello scrittore Viennese, anche in questo, la disamina del sentimento amoroso procede di pari passo con un senso di perdita che spinge gli amanti in quello spazio sospeso tra la realtà e l’abisso, una vulnerabilità che riflette sul piano intimo lo spaesamento della società mitteleuropea prima della guerra.

Patrice Leconte e Jérôme Tonnerre adattano “il viaggio nel passato” lavorando proprio sui vuoti, l’assenza e la qualità spettrale dei personaggi, scegliendo proprio quegli elementi che nella novella di Zweig generano una sconnessione dolorosa tra corpi e oggetti, tempo e desiderio. Frederic e Lotte occupano uno spazio già annichilito nella spirale del ricordo e se lo scrittore austriaco identifica il passato con la morte, chiudendolo in un’ellisse, Leconte sceglie una via apparentemente più lineare mostrandoci un presente irrimediabilmente minacciato da immagini dell’assenza. Nell’impossibilità di toccarsi, i due amanti si osservano a distanza ravvicinata, si spiano, vivono l’istante trattenendo i gesti, mentre il regista francese li segue con  impercettibili movimenti della macchina da presa, piccole e repentine imprecisioni dello sguardo che si accordano sull’instabilità emotiva dei personaggi.

C’è un lavoro rigorosissimo sullo svuotamento dell’orizzonte visivo, una caratteristica leggerissima e allo stesso tempo molto densa di tutto il cinema di Leconte, ma che qui toglie davvero il respiro come succede più volte a Lotte,  assimilando agli stati d’animo il decòr, gli oggetti e il vuoto che lasciano. Sono gli improvvisi sguardi verso la carta da parati vuota, la tessera di un puzzle data per persa e ritrovata nel tempo o forse conservata attraverso, con i colori ancora lucidi e brillanti in contrasto con gli altri pezzi ingialliti e corrotti dal passare degli anni, ma anche la dimensione transizionale che Lotte e Frederic abitano alternativamente; lei avvistata come un fantasma dall’abitacolo di una macchina mentre piange sotto la pioggia, lui che torna a casa dopo nove anni entrando in uno spazio occupato dalla morte.

Leconte recupera fedelmente alcuni passaggi del racconto, ma spostando lievemente la collocazione e accentuando quel senso di astrazione della realtà in un tempo senza più margini. Quando i due amanti si ritroveranno, affitteranno una camera d’albergo; con pochissimi elementi, quasi ci fosse quell’attenzione agli oggetti e alla ripetizione dei gesti di un noir senza detection, si insinua il dubbio che quell’istante sia già vissuto attraverso la replica di un ricordo, un ritorno sui propri passi, un viaggio declinato eternamente al passato senza alcuna via d’uscita. Dopo aver aperto la porta della stanza, l’immagine sarà quella di un letto disfatto, tracce di un passaggio amoroso che mette a disagio i due amanti facendoli sentire fuori luogo, ovvero in uno stato che vivono da sempre, come se quelle persone che hanno lasciato la stanza e le lenzuola sgualcite fossero i loro stessi corpi visti a distanza da un’altra dimensione.

Una promessa è un film crudelmente anti romantico, perchè interpretando lo spirito della scrittura di Zweig, annulla qualsiasi possibilità di crescita amorosa in un abisso senza fondo, una sospensione del desiderio nell’immagine riflessa di un doppio sogno Schnitzleriano, dove Frederic guarda la nuca di Lotte per l’ennesima volta sotto a un gazebo circondato da una luce plumbea che li avvolge come fossero due ombre in mezzo al niente; ed è qui che si manifesta tutta l’essenza della promessa, il desiderio di prolungare l’istante in un tempo che non è più e che li chiama entrambi dalla terra dei morti.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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