Il debutto di Ariane Louis-Seize si inserisce a pieno titolo nel solco del cinema québécois di matrice filosofica, dove gli interrogativi esistenziali di un gruppo di individui e di un’intera comunità, vengono sollecitati dal contrasto del quotidiano con un punto di vista eccedente rispetto all’organizzazione del reale condiviso. In particolare, la presenza di Stéphane Lafleur come montatore, assegna al film un rimario molto vicino alle commedie stranianti che ha diretto. La regista canadese ne segue in parte le orme, applicando l’estetica dello spaesamento alla dimensione adolescenziale, per costruire un’elegia della provincia per certi versi non dissimile da quella di Tu dors Nicole, dove la protagonista, in una fase di passaggio cruciale per la sua vita, osserva il milieu della città da una collocazione talvolta marginale, senza assumere la posizione onnisciente del narratore, convenzione ingombrante di molti racconti di formazione.
Sasha, giovane vampira sensibile alla morte, si rifiuta di uccidere per sopravvivere. Nel pieno della sua adolescenza continua a bere con la cannuccia dalle sacche per la trasfusione del sangue, vivendo alle spalle dell’intera famiglia. I canini stentano a manifestarsi, come vera e propria negazione della crescita, mentre rifugge qualsiasi forma di violenza e sopraffazione.
Il suo è uno sguardo sulla città notturna, quella che incorpora il dolore dell’adolescenza e che può accogliere le pulsioni suicidali di chi non riesce ad accordarsi con le regole del mondo diurno.
Paul è un coetaneo il cui rifiuto dalla realtà scolastica è il sintomo di una sconnessione più profonda sublimata nei ripetuti tentativi di suicidio. Senza determinare le motivazioni di un distacco radicale dall’esistenza, Ariane Louis-Seize tratteggia i confini della disillusione, condizione che non può essere interrogata, ma deve essere compresa come elemento connaturato al vivere comunitario e all’isolamento che può produrre.
Il film prende allora forma dal controcampo tra le due prospettive, l’impossibilità di uccidere per vivere e quella di continuare a vivere in una realtà incomunicabile. Il disagio dell’età acerba viene racchiuso in questa cornice e senza indugiare sulla costruzione programmatica di un nichilismo superiore alla libertà dei personaggi, Ariane Louis-Seize mostra una condizione dell’anima dai due lati di uno specchio.
La tensione tra morte e vita è allora separata da una membrana impercettibile che può essere descritta solo attraverso le dinamiche pulsionali che attraversano i due stadi. Il vampirismo che interessa alla regista canadese è quello trasformativo connesso all’età di passaggio. A parti invertite, l’istinto per la vita flette verso la morte e le tende una mano.
Attraverso la semplicità di un racconto morale, i personaggi di “Vampire Humaniste…” fluttuano nella notte per rivelarne una magia nascosta: si possono capovolgere i principi predatori che costituiscono l’essenza del crepuscolo. Sasha non vuole uccidere e Paul desidera morire, ciò che li separa accomuna la possibilità di ricreare il mondo a partire dalla cura per la morte. Solo la comprensione della sofferenza che si lega alla nostalgia per la vita e al desiderio di morte, può definire il vampiro al di fuori della concezione distruttiva e irrazionale che ha accompagnato quasi tutte le rielaborazioni del mito.
Con il lessico tagliente ed essenziale di alcune graphic novel, scandito dalla fotografia panoramica di Shawn Pavlin e il contrappunto rivelatore dei primi piani, “Vampire Humaniste…” descrive i movimenti di personaggi sospesi tra vita e sogno, dove il secondo rappresenta l’irruzione della morte nel perimetro della realtà.
Sara Montpetit, già apprezzata in Falcon Lake, abita un’inquietudine simile al personaggio scritto da Charlotte Le Bon, ma dall’altra parte del guado, quella dove è possibile farsi raccontare la vita dai fantasmi della notte. Nel suo rifiuto ostinato di conformarsi alle rigide regole famigliari, occupa uno spazio di transito comune a molti adolescenti, ma è proprio in quest’area che confluiscono altre forme dell’immaginario che alludono tanto a Emily The Strange quanto a Mercoledì Addams.
Ariane Louis-Seize crea una versione di quelle eroine molto più radicata nell’angoscia del quotidiano, nonostante le origini e con alcune caratteristiche che determinano la riconoscibilità del personaggio: il suo amore sottile per le anime adombrate, la tastiera del synth come strumento per esprimere malinconia meditativa necessaria a connettere i due mondi.
Prima ancora che il film espliciti la vocazione eutanasica con una soluzione narrativa perfettamente inscritta nella lieve declinazione pop che Ariane Louis-Seize infonde a tutto il racconto, si fa strada l’ipotesi della morte come dono, per bilanciare l’idea della vita come insopportabile attesa. L’attaccamento alla seconda può essere compreso solo se la sua interruzione determina l’individuazione di un limite.
Arrendersi alla morte allora può illuminare di una luce accecante l’attività di un Vampiro.
Non morto per definizione, ovvero eternamente sospeso nella reiterazione di un transito irrisolto, finalmente si nutre donando la libertà definitiva da quel giogo che incatena alla vita i non vivi.
Vampire humaniste cherche suicidaire consentant di Ariane Louis-Seize (Canada 2023, 92 min)
Interpreti: Sara Montpetit, Fèlix Antoine-Bènard, Steve Laplante, Sophie Cadieux, Noémie O’Farrell, Marie Brassard, Patrick Hivon, Marc Beaupré
Sceneggiatura: Ariane Louis-Seize, Christine Doyon
fotografia: Shawn Pavlin
montaggio: Stéphane Lafleur
musica: Pierre-Philippe Côté