lunedì, Novembre 18, 2024

Visages, Villages di JR e Agnès Varda: la recensione

Se vero è che la Nouvelle Vague di padri ne ha più d’uno, può a buon diritto vedere negli occhi di Agnès Varda (Cleo dalle 5 alle 7, 1962) uno sguardo materno; la regista, fotografa e sceneggiatrice, oggi quasi novantenne dall’inestinguibile flamme da ragazzina ad alimentare miliari convinzioni teoriche, incontra JR. Lui classe 1983, celebre artista itinerante, affigge gigantografie di volti sulle più varie superfici rurali e suburbane, disegnando scatto dopo scatto la mappatura della Francia più autentica.

Poco importa che siano due o tre le generazioni tra loro, la comunione del punto di vista li ha portati a seguire un percorso nella stessa misura fisico e intellettuale, indiscutibilmente univoco pur procedendo per illuminazioni, che intrapreso a partire dal 2015 li ha condotti insieme a Cannes prima, agli Oscar poi. Nel mezzo il traguardo che vale più d’ogni altro: la forza catartica dell’arte visiva tra le gente, luce discreta o faro prepotente, a seconda dei casi, ad illuminare storie di ordinaria bellezza, nascosta poesia non senza storture lungo il cammino, sempre superate o aggirate, grazie all’arma vincente di una sottile ironia.

Visages, Villages è allora il film sul film, documentario della propria stessa realizzazione, soggetto e oggetto della rappresentazione, sublime metacinema dalla fruibilità immediata, flusso incandescente di due coscienze che sommate danno vita a questo ibrido, originalissimo frutto nuovo.
Li stupirebbe molto sapere/ che già da parecchio tempo/ il caso giocava con loro”, come nei versi di Wislawa Szymborska. Per strada, dal panettiere, Varda e JR si sono incrociati senza riconoscersi specchiati l’uno nell’altra; una costellazione di segnali indecifrabili, fattisi indicatori cristallini di un destino comune nel momento del primo vero incontro nell’informalità di una cucina, un gatto totemico a vegliare sulla loro creatività.

Pellicola e “fotograffito” si fanno mezzo e supporto di un progetto ampio e dalle possibilità plurime: incontrare persone per trovare le idee, facce nuove da immortalare perché non vadano a finire nei buchi della memoria. Migliore assistente: il caso, secondo un modus operandi che ha tutto della Nouvelle Vague. Con quel cinema Varda instaura un corpo a corpo nostalgico, a volte straziante. Ne conserva prassi e strutture, ne celebra il ricordo e la persona di Godard, un tempo collega e amico ora tangibile assenza, superandolo quindi in definitiva verso orizzonti inediti.
Sono sempre pronta a partire se si va verso villaggi, paesaggi semplici, visi”. Viene dunque da sé il viaggio sentimentale a bordo dell’obiettivo errante di JR, laboratorio in fieri che li traghetta da una sponda all’altra del paese, Provenza e Normandia estreme coordinate.

Episodicamente, per ellissi, si susseguono gli occhi che ridono, la commozione degli sguardi, le rughe che raccontano storie; l’immaginazione degli artisti colonizza territori quotidiani rivestendone le pareti di una dignità sottaciuta o negata. A fare da fil rouge sono i passi e le parole dei due improbabili viandanti, i loro bozzetti impressionistici sull’appena visto e vissuto, le riflessioni sul farsi stesso dell’opera e a un livello superiore, sul senso del tempo e dell’effimero, con la leggerezza che è propria solo di chi sa di averne battute di strade.

Una genuina spontaneità creatrice, supportata dall’esperienza, dà vita a un film che contiene in sé nella lucida mise en abyme del particolare, le plurali storie dell’uomo e del cinema. Il sapore è, solo in parte quello dolceamaro che provoca il ricordo di una stagione vitalissima, non reduplicabile identica a se stessa; prevale a ben vedere la freschezza dell’essere, uomo e cinema aperti al divenire, sospinti e risospinti verso attuabilità nuove.
Il mare ha sempre ragione e il vento e la sabbia”, ma il modo di reinventare una corsa al Louvre si trova.

Veronica Canalini
Veronica Canalini
Critica Cinematografica iscritta al SNCCI. Si anche classificata al secondo posto al concorso di critica cinematografica “Genere femminile: quando le donne criticano il cinema” indetto da Artemedia, oltre a scrivere di Cinema per Indie-eye, si è occupata di critica letteraria per il Corriere del Conero.

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