venerdì, Novembre 15, 2024

Visitors – Complete edition di Kenichi Ugana: recensione

La voce di Kenichi Ugana è una voce nuova e originale, per la straordinaria capacità di giocare con gli elementi del cinema di genere con poesia, libertà e consapevolezza che credevamo perdute. La recensione di "Visitors - Complete Edition"

Il cinema “corto” di Kenichi Ugana vive una dimensione espansa e combinatoria non dissimile da quella dell’universo seriale. Le complete editions che ha riconfezionato negli ultimi tre anni, saldano e molte volte completano le suggestioni dei suoi cortometraggi, individuando continuità tematiche, narrative ed estetiche. Visitors, dopo Extraneous Matter Complete Edition, percorre la stessa strada antologica, costruendo una mini-saga di sessanta minuti intorno ad una nuova invasione creaturale e ai meccanismi di convivenza che innesca con ciò che rimane del genere umano.
Gli ingredienti sono gli stessi della precedente raccolta e mescolano horror, commedia, fantascienza e subculture trash, in una cornice esistenzialista che abita il rigore formale del cinema giapponese.
La relazione tra corpi, oggetti e ambiente, è spesso rappresentazione di un tempo sospeso, che può essere considerato come interiore, storico e relazionale.
Al netto dell’omaggio sentito agli aromi e ai colori della Troma, incluso un breve cameo di LLoyd Kaufman, presidente emerito della nota produzione indipendente americana, l’anarchia punk della nuova antologia attiva e privilegia una contemplazione sull’esistente, investendo le azioni quotidiane con uno sguardo assurdista.

I generi convergono e si sovrappongono a favore della commedia e dell’innesco causale tipico dello slapstick, ma è proprio questo a consentire un’apertura dello sguardo oltre la funzionalità meccanica, rivelando gli inceppi e i cortocircuiti della vita comune.

Visitors, sin dal titolo, ci introduce nello spazio dell’invasione, ma come accade sovente nel cinema del regista giapponese, la prospettiva di osservazione è sottoposta a continui rovesciamenti.
Il primo episodio, il più noto, già incluso nell’antologia Made in Ugana: The Very Special Seance, descrive la visita pomeridiana di tre giovani presso l’abitazione di Sota, amico secluso in una casa con i vetri oscurati da ritagli di giornale, dove la trascuratezza, il disordine e gli evidenti segni materiali di una depressione più volte indagata dal cinema giapponese, impostano il tono generale.

La zombieficazione del personaggio, sottolineata da una serie di gag irresistibili sul suo sgusciare felpato negli anfratti fatiscenti dell’appartamento, mantiene caratteristiche interiori attraverso una rappresentazione dettagliata dello spazio e dell’interazione sociale, declinata con i toni leggeri della commedia, ma per contrasto, dilatata nei tempi del cinema contemplativo.

In questa fase i visitatori sono gli amici, in attesa di condividere un tea e stupefatti dalle condizioni di vita del collega.

L’introduzione dell’elemento horror, che avrebbe potuto innestarsi e partire dal corpo di questa figura un po’ comica e un po’ torva, viene spostato sul piano aurale, una costante del cinema stratificato di Ugana. Quando una delle ragazze si allontana dalla stanza principale per fissarsi sul vuoto di una parete e sull’intermittenza di una fonte luminosa difettosa, è il suono meccanico della stessa e successivamente un tonfo sordo ripetuto all’infinito e udibile da tutti gli altri ad impostare un senso di minaccia pervasivo, che si salda definitivamente con le strategie rappresentative viste fino a questo momento.

L’improvvisa possessione demoniaca della ragazza, con tutti i riferimenti del caso al cinema di Sam Raimi, ma anche agli innesti tra animazione e collage in quello di Nobuhiko Obayashi, spostano la relazione tra corpi e ambiente dalle parti del gore, ma rivelando a poco a poco altri canoni, rispetto a quelli apparentemente sollecitati dal bagaglio di citazioni.

La mostruosità del corpo posseduto risiede nella relazione estrema con il movimento, i liquidi espettorati e quelli ematici espulsi senza sosta dopo i colpi degli umani, un’orgia visuale dove non è mai chiaro il livello di minaccia, quasi sempre individuato come tale dallo sguardo esterno, ma destinato ad incepparsi in un girare a vuoto dei nuovi organismi.

Ciò che caratterizza questa occupazione del corpo umano, come vedremo nello sviluppo degli episodi, è la risata estrema, nuova forma di comunicazione pre-linguistica che suggerisce semplicemente una lettura vitalistica, anarchica e inoffensiva del vivere comune tra soggetti diversi.
La violenza arriva da Haruka, una delle ragazze del gruppo, che a colpi di sega circolare cercherà di schiacciare i mostri.

Se già nel primo episodio sembra chiaro che la contaminazione può verificarsi attraverso il contatto dei liquidi espettorati dai nuovi ospiti, il secondo complica la percezione in termini di continuità, differenza e ibridazione tra i due mondi, una riflessione che è una costante nel cinema di Ugana e che qui trova la migliore sintesi poetica per astrazione e allo stesso tempo, porosità dei segni.

In un bar devastato, due uomini legati agli estremi opposti del locale. Quello che sembra ancora cosciente, sollecita l’altro disteso per terra e visibile solo di schiena, a liberarsi dalle corde con un coltello abbandonato vicino al suo corpo. Una volta libero, il volto dell’uomo mostrerà una netta divisione dei tratti, da una parte umano, dall’altra con la faccia strappata via e la struttura di muscoli e nervi ben visibile. Tutto l’episodio, quasi fosse la versione delirante di un Kammerspiel, sarà incentrato sul dialogo surreale tra i due, con le domande del primo che cercano di indagare il livello di umanità del secondo.

Su questa semplice, quanto potente strategia narrativa, Ugana individua lo spazio della differenza, dove i termini di resistenza e integrazione rispetto a nuovi parametri della condivisione sociale, vengono determinati da caratteristiche estetiche, attitudinali e orali, queste sottolineate ancora una volta dall’enorme quantità di liquido verde espettorato.

L’improvvisa entrata in scena di Haraka pronta alla battaglia, ormai mutata in direzione bionica con due seghe circolari al posto degli arti superiori, conferma l’assimilazione parziale e il rifiuto all’integrazione. Se in termini visuali viene subito in mente la giocosità mutante di Yoshihiro Nishimura, il cinema di Ugana è chiaramente agli antipodi rispetto alla sarabanda pulp del collega, definendo lo spazio di un lirismo filosofico, dove la mutazione anche quando accende il meccanismo comico, fa parte di una riflessione più ampia sui cambiamenti microsociali che caratterizzano il confronto tra visitatori e società ospitante.

Nel terzo episodio, il proprietario del bar appena liberato e fuggito dall’eventuale scontro tra Haraka e l’uomo con il volto diviso a metà, torna nei luoghi del primo segmento. Troverà l’intero gruppo di amici già completamente mutati, ad eccezione di Sato, il proprietario della casa. Ma la mutazione ci mostra qualcosa di diverso rispetto all’incapacità iniziale dei corpi posseduti di finalizzare gesti e movimenti in modo funzionale. Una lingua fatta di suoni destinata a precipitare nella risata furibonda, caratterizza il loro modo di comunicare, insieme ad una coordinazione dei gesti quotidiani che mima una comune vita collettiva.

Gesti, attitudini e compiti del vivere sociale, sembrano le tracce di un’antica memoria umana, conservate nella fusione dei due mondi. Una dimensione primaria che si risolve nella gioia e nella risata fine a se stessa, animata dall’ascolto del fuzz-punk composto da ILA MORF OEL per il film.
La demenza punk, capace di riattivare lo stesso Sato dallo stato catatonico e di consentire una comunicazione possibile tra i due mondi, diventa una giocosa palingenesi fino alla rivelazione kubrickiana conclusiva, parte di uno spirito parodico che già in Extraneous Matter Complete Edition, estremizzava la sci-fi mainstream di Steven Spielberg.

Il cinema eccentrico di Kenichi Ugana, nell’avvitamento eretico tra generi, riesce a inventare un luogo di transito capace di far dialogare la spinta vitalistica dell’estetica punk con la dimensione contemplativa. La materia estranea, i visitatori, gli organismi contaminanti, introducono una riflessione sul limite e l’impossibilità di raggiungere quella centralità umanista che ancora illude il vivere collettivo. La consapevolezza dell’assurdo coincide con la negazione che questo possa essere normalizzato o peggio ancora soppresso. Si assiste allora ad una declinazione dei mondi fantastici, tra horror e fantascienza, che si inscrive in quel solco post-umano già battuto da Cronenberg, Yuzna, Tsukamoto, con mezzi e obiettivi diversi. Sulla stessa vertigine di questi autori, Ugana è una voce assolutamente nuova e da seguire con attenzione, per la straordinaria capacità di giocare con gli elementi del cinema underground, con poesia, libertà e consapevolezza che credevamo perdute nella norma dei big data al servizio di creatività bloccate e simulacrali.

Visitors – Complete Edition di Kenichi Ugana (Akuma ga harawata de ikenie de watashi – Giappone, 2023, 61 min)
Interpreti: Ryûta Endô, Saki, Haruki Itabashi , Lloyd Kaufman, Kento Miura, Keisuke Nomura, Shiho Shiho


Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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