«Life is all right in America»
«If you’re all white in America»
Questa canzone è ancora così inquietante e bella come il giorno in cui è stata scritta da Stephen Sondheim e Leonard Bernstein. L’energia provocatoria di Anita e il cinismo realista di Bernardo rendono questi personaggi così vivi su un palcoscenico che Steven Spielberg non ha paura a espandere, la sua macchina da presa ci trascina in un vortice di piedi, braccia, labbra spalancate, ricordando il lavoro di Bob Fosse in Sweet Charity. È il cinema, bellezza! senza paura del suo status di musical.
Spielberg è magnifico anche nel suo essere umile, sa conservare e rimandare a quegli elementi già perfetti nel 1961, come l’iconico fischio d’apertura o i blocchi di colori che campeggiano nell’appartamento di Maria.
Tony Kushner, lo sceneggiatore, onora il testo, le sue alterazioni sono sottili, arricchisce i retroscena e pur catturando l’innocenza e il buon cuore di Maria, Rachel Zegler irradia un fascino e un’intelligenza che trasformano il suo personaggio in qualcosa di più di un’innocente innamorata.
Kushner e Spielberg hanno un’intuizione in più quando lasciano che le conversazioni che scuotono la vita domestica di Maria avvengano, almeno per una quantità significativa, in spagnolo; senza sottotitoli lo spettatore è costretto a un’immersione ancora maggiore, nel disagio di chi ancora non parla correntemente la nostra lingua, qualunque essa sia, cercando di adeguarsi a una nuova terra non sempre così accogliente. La messa in scena di Gee, Officer Krupke da parte dei Jets non si svolge più in strada davanti alla mesticheria di Doc ma in un commissariato di polizia, facendo sprofondare di nuovo lo spettatore in una situazione fastidiosa, forse i portoricani non si sarebbero sentiti ugualmente sicuri e sbruffoni nello stesso contesto.
A differenza del West Side Story di Robert Wise e Jerome Robbins, la New York che si contendono i Jets e gli Sharks è in procinto di svenire, di essere spazzata via, e Spielberg ce lo dice dall’inizio, quando con la sua camera piomba tra i mattoni e le rocce di edifici parzialmente demoliti.
Siamo in un cantiere più che in un quartiere, qui sorgerà il nuovo e magnifico Lincoln Center. Qual è precisamente il territorio che queste due bande si contendono? Un campo di rovine già vinto dai burocrati e i bulldozer.
Ai portoricani resta la fierezza del loro inno, La Borinquena, e ai Jets la loro canzone trionfante, tanti re su un mucchio di macerie.
Sull’orlo dell’implosione tragica, la storia alla fine trova un suo equilibrio positivo, la speranza della redenzione non viene annientata dalla tragedia ma riscattata dalla voce di Rita Moreno, colei che era stata Anita nel 1961 e ora si è trasformata in Valentina, la vedova di Doc, un mentore per entrambe le parti avverse. È lei che canta Somewhere conferendo un senso alle storie narrate.
West Side Story di Steven Spielberg (USA, 156 min)
Interpreti: Ansel Elgort, Rachel Zegler, Ariana DeBose, David Alvarez, Rita Moreno, Brian d’Arcy James, Corey Stoll, Josh Andrés Rivera, Maddie Ziegler, Kyle Allen, Ana Isabelle, Jamie Harris, Curtiss Cook
Sceneggiatura: Tony Kushner
Fotografia: Janusz Kaminski
Montaggio: Sarah Broshar
Musica: David Newman / Leonard Bernstein
Scenografia: Adam Stockhausen / Rena DeAngelo
Costumi: Paul Tazewell