Wildfire è l’opera prima di Cathy Brady, regista irlandese conosciuta per i suoi cortometraggi e per la lunga esperienza in ambito televisivo. Kelly, interpretata da Nika McGuigan, torna dalla sorella Lauren dopo un anno in cui era stata decretata scomparsa. Insieme affronteranno il trauma causato dalla morte della madre, alla ricerca delle proprie radici e contro le convenzioni della città in cui vivono, un luogo imprecisato sul confine tra Irlanda del Nord e Irlanda del sud.
Wildfire, la recensione del film di Cathy Brady in concorso al Torino Film Festival 2020
Gli edifici e le macchine incendiate durante i Troubles, la festa popolare per il Good Friday Agreement del 1998 e di nuovo ferite e tensioni mai completamente rimarginate che si riaprono all’indomani della Brexit.
Cathy Brady introduce Wildfire con un montaggio frenetico costituito da immagini d’archivio, per mantenere lungo tutto il film una tensione strisciante che spacca in due non solo il cuore di Kelly e Lauren, le due sorelle al centro della vicenda, ma anche quello di tutta l’Irlanda.
Sui muri della città, la vernice rossa delle scritte, tinge un grido innodico che chiama a gran voce l’unificazione del paese, rilanciando in ogni angolo le istanze del partito socialdemocratico e indipendentista dell’Irlanda del Nord guidato da Sinn Féin.
Mentre Kelly viene fermata durante il suo vagabondaggio, reclama una medaglietta di San Cristoforo, protettore dei viandanti. Una connessione che si ripeterà subito dopo quando chiederà un passaggio per tornare nella città natale dove manca da un anno. L’autista si chiama Christopher e in qualche modo stabilisce un sottile filo di comunicazione che svela le radici cattoliche della donna.
Procede in questo modo “Wildfire”, rimane fermo sulle due protagoniste, disegnando un ritratto intensissimo e mai riconciliato, mentre la storia collettiva, passata e recente, preme dai margini.
Cathy Brady evita qualsiasi approccio didascalico e immerge lo sguardo nel duplice percorso soggettivo delle due donne.
Kelly, interpretata da una potente e selvaggia Nika McGuigan, sempre sull’orlo della rottura con le convenzioni sociali, abita il corpo e i vestiti dell’outsider senza tetto ne legge. Ciò che la spinge a trovare nuovamente accoglienza in casa della sorella è chiaramente un tracciato matrilineare.
Non solo in memoria di una madre che il ricordo collettivo sovrapposto a quello personale vorrebbe morta per suicidio, ma nella connessione ancora viva che entrambe, Kelly e Lauren, riescono ancora a stabilire, in uno spazio definito dalla cultura maschile.
L’incapacità di adattamento di Kelly, all’infuori del letto talvolta condiviso con la sorella, si schianta contro l’organizzazione dello spazio famigliare. In qualche modo il personaggio interpretato dalla McGuigan ricorda le istanze veicolate dal nomadismo anarchico di Alicja in Fuga di Agnieszka Smoczyńska, ma la costruzione geometrica e stratificata dello spazio sociale operata dalla regista polacca è molto diversa dall’urgenza che attraversa l’opera della Brady.
Mentre Lauren è costretta a lavorare secondo i ritmi ipertrofici di un magazzino modellato sulla nuova economia aziendale di Amazon, Kelly cerca di recuperare il senso di un rapporto dimenticato, adattando l’impellenza del gesto allo spazio che la accoglie.
Quando metterà sottosopra il giardino condiviso da Lauren e dal marito, con l’intenzione di sviluppare un orto, l’uomo di casa si farà sentire, cercando di ristabilire un ordine basato sull’apparenza.
Il rifiuto di Kelly di scendere a patti con qualsiasi norma spingerà Lauren ad un confronto che sarà deflagrante.
La Brady si serve dello spazio per definire questa spaccatura; non solo le scritte che dai muri della città parlano di un’Irlanda unita, quasi sempre inquadrate come immagine che ingloba il confronto tra le due sorelle, ma anche il progressivo avvicinarsi di Lauren alla libertà di Kelly, come operazione maieutica per ritrovare la propria.
In termini visuali, la Brady cerca quindi una vicinanza soggettiva e fisica alle due donne, secondo le coordinate di un cinema proletario che in alcuni momenti ricorda la “cattiva educazione” del miglior Alan Clarke.
La sequenza ambientata in un pub cittadino è in questo senso una cellula narrativa esemplare di un metodo che riesce a liberarsi con efficacia da certi vincoli rappresentativi.
Il pub, luogo eminentemente maschile o comunque regolato da un comportamento sociale specifico, diventa spazio del confronto con la storia di un paese che oltre alle proprie idee, difende anche le cause della violenza.
Kelly e Lauren si scontrano con un uomo che è probabilmente uno degli artefici di una bomba con la firma dell’IRA che negli anni novanta aveva causato la morte di alcune persone, tra cui quella del padre delle due sorelle.
Fuori norma e fuori dai confini sociali consentiti è proprio il loro l’atteggiamento, ed è semplice e altrettanto sorprendente che la Brady, con una naturalezza e solidità invidiabili, riesca a materializzare il senso della frattura sociale con il ballo selvaggio di Kelly e Lauren che anticipa lo scontro.
Danza fisica con-tro la Gloria dei Them cantata da Van Morrison, quasi per riappropriarsi di quello spazio percettivo del desiderio, senza la necessità di bussare alla porta di qualcuno.
Urgenza di essere e di esistere che cinematograficamente trova espressione principale nello spazio disegnato oppure distrutto dal gesto.
Questa divisione, che sia fisica o spaziale, emerge da qualsiasi azione agita da Kelly, sempre al di qua della comprensione sociale e collettiva, anche quando cerca di comunicare con un gruppo di bambini, irrimediabilmente più accorti, educati e inquadrati di lei.
Ecco perché Wildfire è un film costantemente in bilico, non in termini negativi, ma come tentativo di fotografare l’abisso che si apre davanti ad un difficile processo di riappropriazione identitaria.
Chi sono allora Kelly e Lauren rispetto alla propria città, al proprio paese e alla propria storia personale?
La loro formazione è apparentemente bloccata oltre l’orizzonte bucato dal salto della madre verso il vuoto, ma è dalla comprensione di quel limite che la giuntura tra terra e cielo può nuovamente saldarsi.
La forza e la vulnerabilità del corpo di Nika McGuigan, morta nel 2019 per le conseguenze di un cancro mentre il film era ancora in fase di post-produzione, trascinano il nostro sguardo al di là di quel confine, come un invito ad abbandonare tutti quei pregiudizi che separano l’autocoscienza di un popolo dalla fluidità dei singoli.
Wildfire di Cathy Brady- GB, Canada – 2020 – 85 min
Interpreti: Martin McCann, Nora-Jane Noone, Aiste Gramantaite, David Pearse, Olga Wehrly, Helen Behan, Uriel Emil, Nika McGuigan, Toni O’Rourke, Joanne Crawford
Sceneggiatura: Cathy Brady
Fotografia: Crystel Fournier
Montaggio: Matteo Bini