martedì, Novembre 5, 2024

Chronique d’une liaison passagère – Emmanuel Mouret incontra la stampa @ France Odeon 2022

Emmanuel Mouret ha presentato alla stampa fiorentina il suo ultimo Chronique d'une liaison passagère, insieme agli interpreti Vincent Macaigne e Sandrine Kiberlain. In programma stasera alle 20:30 presso il Cinema La Compagnia in occasione della 14/ma edizione di France Odeon, il film raccoglie una vivacissima serie di bozzetti amorosi, la cui leggerezza è un lieve e a tratti doloroso planare sui frammenti del racconto amoroso, condotto con rarissima intensità. Presentato in anteprima italiana, il film sarà distribuito prossimamente nelle sale da Movies Inspired

Il cinema di Emmanuel Mouret, sin da Un baiser s’il vous plait, è un continuo insinuarsi della parola tra la libertà del corpo attoriale e gli spazi dell’esperienza quotidiana. Questi possono risuonare o meno con lo spirito dei personaggi, rappresentare asfissia o libertà, ma testimoniano sempre la forza vitale di uno sguardo che non intrappola mai il racconto nella predeterminazione degli eventi. Dal cortocircuito tra parola e gesto, nasce la molteplicità di registri del discorso amoroso.

Chronique d’une liaison passagère è l’ultimo film del regista francese, in programma stasera alle 20:30 presso il cinema La Compagnia di Firenze, in occasione della 14/ma edizione di France Odeon. Interpretato da Vincent Macaigne e Sandrine Kiberlain, è un vero e proprio tour de force nella leggerezza, intesa come capacità di adattamento all’impermanenza dei sentimenti. Simon è un padre di famiglia che intraprende una relazione extraconiugale con Charlotte. Lei è madre, single. L’impegno è incontrarsi solo per piacere. Ma è in questa definizione predittiva del rapporto che lo sguardo acuminato di Mouret sovverte le convenzioni, anche di certo cinema francese, ribaltando per esempio il nichilismo mortifero di Une liaison pornographique, il noto film di Frédéric Fonteyne che partiva da presupposti molto simili. Oltre il desiderio c’è un mondo da scoprire e questo emerge anche da ciò che la parola non riesce a connotare in modo preciso, eludendo di fatto risonanze affettive impreviste.

Immerso nei toni caldi e primaverili della fotografia curata da Laurent Desmet, si accorda con una vivacità quasi mozartiana, giocando sulle antinomie tra i due personaggi, ma senza confinare la varietà di registri nella cornice leggera.

Mouret riesce infatti a lavorare in modo sottile su quello che non vediamo, delineando un ritratto intimo che trattiene l’esplosione e l’attuazione potenziale dei gesti.
Il dolore, che attraversa il film con la stessa libertà della commedia, si manifesta in quell’immagine vuota creata dall’improvvisa inadeguatezza della parola e dei corpi, rispetto agli ambienti.
Non è un caso che la qualità bozzettistica privata e caratterizzata da una serie di sequenze che isolano i due personaggi da una realtà sociale più inclusiva, venga immersa in un’ampia dimensione panoramica dello sguardo: parchi, musei, grandi contenitori visuali esaltati da un 16:9 magniloquente.

In relazione alla grandezza visuale descritta, questa piccola storia d’amore temporanea come le nostre esistenze, risulta osservata in scala, marginalizzata dallo spazio circostante. Un lavoro di elisione che arriva a vanificare il ruolo stesso della parola, come strumento di rivelazione parziale.
Il sentimento torna ad esprimersi nel vuoto, nel grido di dolore soffocato, nell’improvvisa assenza di un segno a cui potersi affidare.

Introdotto da Francesco Ranieri Martinotti, Mouret era ospite dell’Istituto Francese di Firenze nel primo pomeriggio, insieme a Vincent Macaigne e Sandrine Kiberlain, per presentare alla stampa il film.
Una conversazione vivace e plurale, attinente alla forza vitale del suo cinema e che ha consentito di approfondire alcuni aspetti creativi condivisi con i suoi interpreti.

Un coinvolgimento che Sandrine Kiberlain ha testimoniato con grande precisione, raccontando l’importanza del testo, ma anche quella dei corpi attoriali: “Ci siamo messi al lavoro per digerirne la struttura, elaborare le parole, ma anche per liberarcene, cioè per lasciar parlare tutto il resto e i nostri corpi

Mouret è un regista che considera fondamentale la disponibilità verso gli attori. “Voleva introdurre in modo forte l’idea di movimento – ha aggiunto l’attrice francese – perché era fondamentale il ritmo nella modalità di recitazione. Il testo è ricco di spunti importanti che vorremmo trattenere e portare con noi, ma il fatto che i personaggi siano scritti così bene, consente un’adesione diversificata alla complessità dei loro sentimenti. Mouret riesce a far trasparire nel testo emozioni invisibili, consentendo allo spettatore di scorgere ciò che i protagonisti stessi non riescono a vedere

La nozione di testo è per Mouret certamente importante, ma comprende, nell’idea stessa di sceneggiatura, la capacità degli attori di partecipare all’incarnazione e quindi all’evoluzione del testo stesso: “Aggiungono ad esso intimità e sfumature – ha precisato il regista – tanto che io stesso posso scoprire il testo grazie al loro lavoro. L’idea che questo sia scritto in anticipo, non è una concezione esatta, perché continua ad evolversi insieme al contributo attoriale e alla loro capacità di incarnare i personaggi

In quello spazio che il cinema di Mouret lascia alla libertà interpretativa, Vincent Macaigne ha voluto precisare che non si tratta di improvvisazione in senso stretto “I dialoghi sono molto rispettati – ha detto l’attore – e questo perché sono strutturati in modo tale da permettere una liberazione d’energia possibile nelle stesse scene. Durante il film, e parlo del processo che dalle giornate sul set, procede fino al montaggio, Emanuelle cerca alcune energie che possono essere scatenate all’interno delle inquadrature. Per esempio ci sono momenti dove un personaggio esce di campo per far apparire una schiena, un’ombra oppure dare risonanza ad una parola. Questa costruzione condivisa con tutta la troupe testimonia anche un altro aspetto molto importante, ovvero il fatto che Mouret sia un regista vivissimo, che viva in prima persona il piacere di fare cinema, in modo intenso

La sceneggiatura del film è stata scritta insieme Pierre Giraud, attore che è stato allievo di un laboratorio di scrittura dove insegnava lo stesso Mouret. “Durante il workshop – ha raccontato il regista – mi ha proposto un paio di scene con due personaggi. Queste scene si sono evolute con uno scambio serrato, fino alla sua richiesta di farne un cortometraggio. Un processo che ci ha impegnato diversi mesi e che alla fine è diventata una vera bozza di sceneggiatura. C’era ancora molto lavoro da fare ed è per questo che gli ho chiesto di prenderne possesso e di trasformarlo in qualcosa di più strutturato. Ciò che trovavo interessante nella proposta iniziale era l’idea che i due personaggi si impegnassero a non impegnarsi, togliendo i sentimenti dalla loro relazione. Un meccanismo molto simile alla suspence, tant’è, proprio nella scena iniziale, sotto al tavolo, si nasconde la bomba dell’innamoramento. L’altro aspetto per me fondamentale era che i personaggi non sono raccontati nella loro vita quotidiana, ma solo attraverso gli appuntamenti, non consentendoci quindi di attivare uno sguardo giudicante

Macaigne ha sottolineato ancora il fatto che i personaggi del film siano liberati dal loro contesto sociale.
Il miracolo dell’incontro, come lo ha definito Sandrine Kiberlain: “Non c’è niente di prestabilito, tutto accade in medias res. Vediamo un uomo che cammina, che incrocia una donna che cammina. L’incontro accade. E poi le conseguenze, i danni collaterali. In molti film sappiamo già da dove provengono i personaggi, il loro contesto sociale, e tutto è già prestabilito

Mouret, a questo proposito, ha rivendicato un’origine letteraria, legata al saggio di Denis de RougemontL’amore e L’Occidente“, scritto negli anni trenta e molto amato negli anni settanta. La denigrazione dell’amor cortese è al centro della disamina del pensatore cattolico, che critica ferocemente l’influenza catara nella letteratura occidentale e la tendenza alla trasgressione come un’accezione malata che conduce verso una visione mortifera e nichilista dell’amore: “Nel saggio – ha detto in particolare Mouret – la passione che unisce Tristano e Isotta negando il contesto sociale che li circonda, causa una catastrofe. Nei miei personaggi, non c’è passione

La passione non è invece trattenuta nel lavoro che Mouret imbastisce con gli attori.

Nel nostro mestiere c’è sempre un testo all’inizio, ma la sfida con Mouret è che non c’è opposizione tra questo e la vita, tra la vita e la vita nel cinema – ha voluto chiarire Macaigne – Nei suoi testi c’è certamente fede nella parola, ma anche nei movimenti, nei traveling, nella musica, negli spazi architettonici

La preparazione allora consiste in una condivisione delle letture: “Avevamo già i testi, li conoscevamo e quindi potevamo buttarci in acqua senza paura – ha specificato Kiberlain – Se avessimo provato in senso stretto, avremmo forse cristallizzato aspetti sbagliati, sabotando il senso complessivo

In questo per Mouret risiede la grande differenza tra cinema e teatro: “A teatro si allestiscono prove su prove, al cinema si scoprono cose diverse ogni giorno, ci si sposta, si cambia scenografia, e si è immersi totalmente nel presente. Si filma, si tengono le riprese migliori e paradossalmente si prepara molto a lungo quello che si dovrà scegliere più rapidamente

Macaigne ha voluto definire questo scambio come un vero e proprio atto d’amore: “C’è un aspetto molto bello del suo cinema ed è quello di renderci belli. Una qualità che fa parte di un contratto di fiducia stabilito da Mouret con i suoi attori. Questo ci rende più forti e più belli, come in una storia d’amore. Lui osserva nuovamente le persone, per amarle, per volergli bene, e tutto questo risiede nella capacità continua che ha di stupirsi di fronte ai personaggi, agli attori e alle situazioni che possono essere create

Per Mouret è un’orchestrazione allora. Mettere insieme talenti, senza dirigere in senso stretto: “Sono qui per ascoltare tutti. Lo stereotipo del regista che ha tutto sotto controllo e ha pensato tutto in anticipo, non mi appartiene. Ascolto e preferisco ascoltare gli altri. In questo senso la parola e il piacere delle voci ha certamente un ruolo, perché allo stesso tempo preferisco quando è il silenzio a poter diventare evento

[Foto dell’articolo fornite da Davis & Co. Ufficio stampa – press kit France Odeon]


Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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