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Louder than bombs di Joachim Trier a Cannes 2015: la conferenza stampa

Joachim Trier, che avevamo intervistato ai tempi di Oslo, August 31, torna a Cannes questa volta in concorso con un nuovo film sostenuto dalla musica ipnotica di Ola Flottum e sviluppato intorno ad una figura assente, Isabelle Reed (Isabelle Huppert) fotografa di guerra vittima di un incidente contro un camion e morta probabilmente suicida. Trier lavora sul trauma in modo sottile e impercettibile, attraverso i ruoli di Gabriel Byrne, che interpreta il vedovo, Devin Druid nella parte di uno dei due figli, e Jesse Eisenberg, il figlio maggiore, marito e padre di famiglia.

Alla conferenza stampa di oggi, lunedi 18 maggio, erano presenti Thomas Robsahm, produttore del film, Rachel Brosnahan che nel film intepreta Erin, il co-sceneggiatore Eskil Vogt, l’attore David Druid nel ruolo di Conrad il figlio minore, Gabriel Byrne nella parte del marito di Isabelle, Isabelle Huppert che interpreta Isabelle Reed e naturalmente il regista Joachim Trier.

La prima domanda viene rivolta a Trier e allo sceneggiatore Eskil Vogt relativamente agli elementi che il film indaga, non solo la morte, ma anche l’infedeltà, la difficoltà di essere un padre e quella di essere un adolescente, scelta che Von Trier spiega non solo per la necessità di raccontare la storia delle persone, ma anche in base al suo interesse per la polifonia dei racconti corali e le differenti voci che la famiglia del film crea all’interno della storia stessa,  a differenza di Oslo che era in fondo concentrato su un solo personaggio. Vogt sottolinea la qualità polifonica della struttura famigliare se affrontata all’interno di un racconto “c’era bisogno di una struttura che tenesse in piedi tutti i pezzi – ha detto lo sceneggiatore – e questo viene identificato nel dolore della madre, che diventa il collante per raccontare tutti i sentimenti dei componenti della famiglia“.

In Louder than bombs c’è una sequenza dove i figli guardano un film alla televisione interpretato dallo stesso Gabriel Byrne a fianco di Shelley Long, è un titolo di Frank Perry della fine degli anni ’80, una commedia sentimentale e soprannaturale intitolata “Hello Again“, Trier ha spiegato l’utilizzo della scena per uno degli aspetti  intorno ai quali ruota il film, quello dell’identità e della memoria, come occasione per indagare la vita stessa del personaggio, in questo caso interconnessa con la memoria che appartiene all’attore. Allo stesso tempo, c’è nel film moltissima attenzione alle fotografie come forma di auto-rappresentazione, “per il personaggio di Isabelle – ha spiegato Trier – abbiamo preso ispirazione dal lavoro di una fantastica fotoreporter francese, Alexandra Boulat, che è morta qualche anno fa per un cancro, non ci siamo appropriati della sua storia, le fotografie che aveva realizzato sono state fondamentali per creare l’immagine della guerra, ma anche per lavorare sul concetto di assenza e allo stesso modo sulla modalità con cui il realismo diretto di queste foto interagisce con la nostra percezione attraverso i media, sono immagini che lasciano molto spazio all’immaginazione e sono di grande ispirazione per un cineasta

Isabelle Huppert, sulla molteplicità di voci, ha sottolineato quanto il suo personaggio sia molte persone diverse: “è una madre, è una fotografa, è assente, è depressa, e questo si manifesta attraverso la memoria e i ricordi dei diversi componenti della famiglia, è un personaggio talvolta incomprensibile anche per se stessa, testimonia la durezza del mondo ma ne preleva alcune immagini, con la conseguenza di subire una scissione tra vita lavorativa e vita personale

Anche Gabriel Byrne ha sottolineato lo stesso concetto: “oggi una delle frizioni più forti che subiamo è quella tra il luogo della casa e quello del lavoro, un contrasto forte che genera sentimenti di colpa e rimorso, molti genitori ma anche molti figli possono identificarsi in questo aspetto, ma relativamente al film e a quello che cerca di esaminare, è la famiglia il centro di questa scissione dolorosa, cosa significa essere un marito, una moglie, un figlio e per recuperare quella sequenza dove il padre viene osservato attraverso un video, la visione di come eravamo e di come ci ricordiamo le cose, può essere sconcertante

Ad un giornalista che ha chiesto a Trier se il suo cinema fosse ispirato a quello di Bo Widerberg, il regista norvegese, divertito, dice di aver amato un film come Love 65 per la sua qualità diretta dallo stile à la Cassavetes: “pur non essendo una mia ispirazione diretta, lo reputo un maestro per la capacità di assumere un punto di vista prossimo alla vita dei personaggi

Per quanto riguarda l’esperienza americana, Trier racconta le modalità con cui ha assimilato quella cultura, in conferenza stampa ha parlato di film come Kramer Vs Kramer, Gente Comune, The Breakfast Club, lavorando però senza pensare ad un genere di riferimento, ma con un approccio combinatorio e associativo come nella scrittura di un romanzo, ha osservato molto la vita newyorchese in una forma quasi antropologica, e cercando di inserire dettagli della cultura americana dal punto di vista dell’osservazione naturalistica, ovvero con l’intenzione di scoprire qualcosa che non conosceva piuttosto di cercare qualcosa che già credeva di sapere.

Sulla libertà e sulla difficoltà  di lasciare andare le persone, espressione mutuata da un precetto buddista, Gabriel Byrne si è espresso in modo molto preciso definendo il suo personaggio come una persona “che non riesce a lasciar liberi i suoi figli e sua moglie

Redazione IE Cinema
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