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The Fog di John Carpenter – colonna sonora originale

John Carpenter compositore; uno speciale, la recensione di The Fog

Indie-eye presenta uno speciale dedicato a John Carpenter compositore. L’approfondimento è costituito dall’analisi di tre tra le colonne sonore più influenti del maestro di Carthage; in sequenza è possibile leggere da oggi articoli su The Fog; Escape From New York; In The mouth of madness, ovviamente esaminati da una prospettiva musicale. Introduce lo speciale questa breve intervista a John Carpenter

Someone once told me that music, or the lack of it, can make you see better. I believe it

(John Carpenter)

 

Tra le colonne sonore firmate da John Carpenter The Fog occupa una posizione estrema e nonostante sia largamente considerato come uno degli esperimenti meno incisivi tra quelli composti dal regista Americano, a nostro avviso ha un’importanza assolutamente centrale nello sviluppo di alcune intuizioni che saranno messe a punto, anche a livello di ricerca, nelle colonne sonore successive del maestro di Carthage.

Realizzata tra il 79 e l’80 esce per la prima volta in vinile nel 1984 per Varese Sarabande in una versione che sinteticamente include solamente lo score “puro”, tagliando fuori la consistenza materica e concreta dei suoni che costituiscono l’asse spinale dello stesso film diretto da Carpenter nel 1979.

Le ristampe successive si porteranno dietro l’eredità di una versione in CD licenziata dalla sottoetichetta tedesca di Varese (Colosseum) costituita dalla stessa tracklist della prima uscita. E’ necessario attendere sino al 2000 per una versione potenziata, prodotta da Silva Screen insieme ad Alan Howarth, fedele collaboratore di Carpenter. Le tracce raddoppiano e la completezza dell’operazione è legata ad una restituzione fedele e filologica dell’atmosfera che avvolge il film.

The fog è di per se un film concepito anche a partire da una materia sonora astratta e “concreta”, è sufficiente la lunga sequenza che introduce e sviluppa i titoli di testa per elaborare un’orchestrazione che si avvicina ad una versione cinetica delle idee di Pierre Schaeffer; gli oggetti si ribellano e producono un rumoroso silenzio, un’idea di tempo e di spazio che viene definito a partire da rumori, interferenze elettromagnetiche, telefoni che suonano in piccoli deserti urbani, dispositivi analogici impazziti, un erogatore di benzina che vive di vita propria segnando il tempo.

Per questa idea quasi fenomenica, Carpenter si lascia esplicitamente suggestionare dalle produzioni di Val Lewton e da quell’ideologia del set, ma lo fa anche e soprattutto attraverso i suoni. The Fog è anche un film sulla sopravvivenza del dispositivo radio/analogico, faro in mezzo alla nebbia, resistenza convergente e opposta a quella che nello stesso anno Kubrick avrebbe guardato con un pessimismo diverso attraverso i dispositivi di comunicazione (radio, cb, telefoni) che in Shining si inceppano inesorabilmente.

La musica che Carpenter scrive per The Fog segue questa linea distillando la struttura pianistica dello score composto due anni prima per Halloween e eliminando quell’impatto ritmico Black che da Assault on Precint 13 sarà un po’ il groove di superficie di molte produzioni carpenteriane a venire, costruite su un’idea inesorabile di tempo; la consistenza sonora è letteralmente spettrale e si serve di pochissimi elementi oltre al pianoforte.

A questo senso di dilatazione restituito da un uso fortemente minimale degli strumenti si applicano i rumori ambientali come presenza forte della tecnologia, una fusione con elementi preesistenti del suono, qualcosa che dallo spazio filmato si trasforma nella riorganizzazione dei rumori in una direzione compositiva. David Shire aveva già fatto qualcosa di simile con la musica composta per il film di F.F. Coppola, The Conversation, lavorando direttamente sullo script prima di poter vedere qualsiasi immagine filmata.

Il risultato è per certi versi simile e permette a Shire di elaborare una partitura che racconti lo scollamento percettivo dal reale in uno spazio riorganizzato a partire dall’in-fedeltà dei dispositivi di comunicazione; Shire lavora sulla materia del Jazz erodendolo fino al limite consentito e annichilendo il suono del piano al confine con il rumore e il silenzio. Sperimentazione su volumi e timbri, e sulla materia concreta dei suoni che ha le sue radici nella sfortunata colonna sonora composta da Henry mancini per Wait Until Dark, splendido esempio di rimosso storico di cui abbiamo parlato approfonditamente da questa parte.

John Carpenter radicalizza queste esperienze grazie anche al suo approccio sintetico nei confronti dell’orchestra tradizionale. Tra rumore e simulazione analogica dello stesso, tra paesaggi, corpi e oggetti sonori, The Fog riesce a raggiungere un livello di tematismo riconoscibile in quel nucleo che da Andy’s discovery agli End Credits si serve di alcuni elementi retorici del minimalismo legato al cinema Horror (da Tubular Bells in poi) per creare un senso di spaesamento percettivo.

A questo proposito è utilissimo soffermarsi su una traccia come Escape, bellissimo drone carpenteriano che diventa un attacco ritmico trattenuto e ossessivo, sembra quasi di sentire il lavoro di dilatazione e di infezione della tessitura elettronica che un dj come Burial sta elaborando sul corpo dell’elettronica di genere; Escape è una traccia acquatica, inghiottita dai suoi stessi suoni, un brano fatto di rumori, feedback, interferenze microfoniche, saturazioni; musica elettrostatica prodotta da corpi che attraversano il tempo, un suono nella nebbia.

RASSEGNA PANORAMICA
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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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