My name is Sabu. I’m a genius director from Japan. Detto questo egli ride, scossa la testa come Kitano e chiede all’interprete di fargli una foto con sfondo platea. My film isn’t funny, conclude Sabu, so I’m here to wreck it. E sia. Galvanizzati da cotanta performance, tutti a guardare il nuovo film del genius director from Japan. Tratto da un romanzo di Shigematsu, Shisso – titolo internazionale Dead run – narra una storia di periferia giapponese. Una storia di famiglie che scompaiono e di ragazzi che crescono forti e difettosi, condannati da un karma più forte di ogni libero arbitrio. Una storia, infine, di corse a perdifiato, fiamme dolose e suicidi collettivi, narrata dalla voce di un prete cattolico. Figura, questa, che collocata in Giappone ha un che di fascinoso e di autenticamente cristologico (saranno i capelli lunghi?), con tanto di Maddalene in carne e biscotto: ricordi di un passato traumatico che tutti – prete incluso – tentano di esorcizzare. Niente da fare, gente. Shisso parla solo di tare ereditarie.
Il film di Sabu è girato con garbo e misura. La tenuta narrativa è notevole e le vicende si dipanano mediante un ritmo costante e snodi quasi sempre plausibili, a volte choccanti. Il protagonista è Shuji (Yuya Tegoshi), che seguiamo dall’età di otto anni fino all’immediata prepubescenza. Attorno a lui ruotano gangster palazzinari e ondate di piromania – ad opera del “Cane Rosso”… – nonché due donne che intorno al cuor gli son venute. Una compagna di scuola ribelle, che ama correre a ogni piè sospinto, e la pupa del gangster, che lo circuisce e gli fa passare due o tre sequenze degne di Christiane F. Da queste sequenze Shuji uscirà vivo e sanguinante di sangue proprio e altrui: una belva. È il suo karma che lo strattona. Nonostante le premesse e i proclami, Shisso non colpisce davvero nel segno. Peccato. Nulla da eccepire, ma nemmeno nulla da incensare. Un esempio di cinema medio, armato di un discreto talento visivo e di un gusto mai banale nel riprendere un Paese che ci arriva troppo spesso in pasticche di stereotipo. Medio perché tutto pialla, dal dialogo casalingo all’omicidio efferato. Il pubblico vede ma non sente. Molto probabilmente in Italia non uscirà ma il geniale regista Hiroyuki Tanaka alias Sabu – tra l’altro abbonato alla Berlinale – non mancherà di tenere davvero fede al suo titolo. Sempre che il genio sia il suo karma. Altrimenti son solo chiacchiere e distintivo.