Home festival Berlinale 56 Arriva la bufera: L’ivresse du pouvoir di Claude Chabrol

Arriva la bufera: L’ivresse du pouvoir di Claude Chabrol

L’ivresse du pouvoirdi Claude Chabrol

Francia, 2005

56a Berlinale – Concorso

Dvd // Tf1 Video (orig Fr / Pal / Zone 2)

Versione Italiana in uscita per 01 Distribution

Per ben due volte ho incontrato un uomo nell’atrio del Berlinale Palast. Sguardo affabile, pelle d’ebano, barbetta sale e pepe e una cuffia ocra in testa. Entrambe le volte cercava biglietti, ha attaccato bottone e abbiamo parlato d’altro. C’è “Variety” gratis, gli dissi la prima volta. E andiamo a sfogliare Variety. La seconda volta gli chiesi cosa ne pensava di L’ivresse du pouvoir, se valeva la pena. Mi disse di non averlo visto, che abitava a Parigi, che non si fidava della Huppert come persona e che la ricordava in due scene della Pianista. In una sniffa un kleenex usato nella cabina video di un sexy shop – all’interno di un centro commerciale; nell’altra spia una coppia di amanti al drive in, si mette a chinino e piscia con gioia, dopodichè, scoperta in flagrante, se ne va con aria orgogliosa e scocciata. Questi souvenirs mi hanno fatto salire le lacrime agli occhi. Ho sghignazzato col mio amico cinefilo, pacche sulla spalle e s’è deciso di andare a vedere le nuove malefatte di Isabelle, sotto la guida caustica del veterano Chabrol. L’ivresse du pouvoir è la settima collaborazione Chabrol-Huppert. Girato a Parigi tra palazzi svettanti, macchine di lusso e appartamenti lussuosi, è un film decisamente urbano, centrale, che sceglie un focus molto diverso rispetto alla tradizione – ottima, ottima davvero – provinciale e borghesotta in cui Chabrol è solito dilettarsi in entomologia, e la Huppert in sublime crudeltà. Chabrol, un po’ come Flaubert, compila da sempre un suo personale Bouvard e Pécuchet: uno stupidario umano condito con salse diverse, di solito gialle e criminose. Di quel giallo quieto e casalingo che piaceva tanto a Friedrich Dürrenmatt in testi come Il giudice e il suo boia. Ne L’ivresse du pouvoir, Isabelle Huppert è sia giudice, sia boia; interpreta infatti un giudice delle indagini preliminari (Jeann Charmant-Killman) deciso a far luce su un colossale giro di denaro sporco, nonché sulle collisioni affari-politica ad esso collegate. La storia si ispira a uno scandalo realmente accaduto, l’affare Elf; a occhio e croce, il Mani Pulite d’oltralpe.

La narrazione secca e sorniona di Chabrol conduce il gioco con mano ferma fino ai titoli di coda, che non arrivano in un buon momento. Un finale positivo sarebbe stato quantomeno fuori luogo. Un’altra ovvietà è che la Huppert si mangia il film, oltre a papparsi con gusto una schiera di vecchi affaristi pieni di tic, le cui menzogne improvvisate costituiscono l’asse ilare della pellicola. Chabrol dà il suo meglio nella rappresentazione di questa gerontomafia aggrappata a sigari lunghi mezzo metro, arrogante, razzista, ben vestita, patetica ma con sette vite e il perenne asso nella manica. Quanto al resto, dispiace dire che il film non vibra. Manca una figura femminile capace di arginare Isabelle e di darle il giusto feedback – Sandrine Bonnaire sarebbe stata, di nuovo, perfetta – e l’intero iter della pellicola scorre senza rifilare staffilate degne di questo nome. Piccola nota di demerito al Chabrol nepotista che piazza un figlio nel cast e l’altro alla colonna sonora – la quale, tuttavia, è pregevole. Ma grande nota di merito al Chabrol regista che apre il film con un piano sequenza che va dai piani alti al piano terra, seguendo quella che sarà la prima vittima di Isabelle. L’uomo maramaldeggia tra i colleghi – tutti sottoposti – e quando esce dalla torre d’avorio lo aspetta la macchina della polizia; poco dopo, in prigione, viene costretto a togliersi giacca e pantaloni. Calano le braghe, dissolvenza al nero: un film de Claude Chabrol.

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