La Raro Video ripropone Cani Arrabbiati, il capolavoro di Mario Bava, in una versione blu-ray corredata da una buona dotazione di contenuti extra. Un’ulteriore veste per un film che nella sua distribuzione ha subito un travagliato iter, a partire dal blocco produttivo del 1974 per il fallimento del produttore Roberto Loyola, un tizio piuttosto strano, ex mercante d’armi datosi all’industria cinematografica.
Fu Lea Lander (coprotagonista del film) a salvare il materiale ormai destinato all’oblio. Il tutto, montato seguendo approssimativamente il progetto di Bava, stemperandone però il crudo finale, uscì con l’arbitrario titolo Semaforo Rosso nel 1995. Una prima edizione dvd (Lucertola) venne distribuita con il titolo di “Rabid dogs”, integrando il finale originale e macabro; mentre nell’ultima versione (Leone/Lamberto Bava) venne realizzato ex novo un prologo e alcune scene di raccordo, avvalendosi della collaborazione del figlio del maestro, allora assistente alla regia. Oltre questi primi interventi il film subì ulteriori (relativamente) marginali mutamenti nelle successive versioni dvd. Ma ciò che più conta è che questo film anomalo rispetto alla filmografia di Bava, sia stato riportato in vita, come testimonianza dell’indubbia genialità visionaria di uno dei più bistrattati padri del nostro cinema (e non solo).
Ormai acquisita una sua definitiva forma, al film non resterebbe nulla da aggiungere o togliere. L’unica operazione legittima sembra proprio quella di ricostruire la tormentata storia dell’opera. Ed è questo il proposito della Raro Video, che inserisce nel DVD alcuni extra indispensabili, tra cui incipit e finale alternativi, una selezione di aneddoti da gustare “con la bava alla bocca”, dal commento dell’esperto baviano Tim Lucas passando per una serie di interviste con Lamberto Bava, Alfred Leone e Lea Lander, oltre all’immancabile trailer originale. E come se non bastasse , un nutrito booklet curato dalla rivista Nocturno concorre alla costruzione di una lussuosa cornice al film, con testimonianze di attori, sceneggiatori, direttore della fotografia e note critiche, tutte finalizzate a ripercorrere l’Odissea di un’opera d’arte che ad ogni tappa del suo viaggio trovò sostenitori che ne contribuirono a dare forma.
Nonostante Bava abbia dato il meglio di sé negli horror gotici, Cani Arrabbiati risalta per la sorprendente libertà di cui sembra aver goduto il regista. Uno dei pochi film in cui meno si sente l’asservimento alle regole di un genere o l’adeguamento alle necessità produttive. I film di Bava non assalgono lo spettatore, come quelli di Dario Argento, ma lo inquietano. Un amore per il fantastico e per l’immagine che in Bava nasce su basi letterarie e su una cultura iconografica precisa come quella ottocentesca (Mèrimèe, Maupassant, Poe). Egli è un «uomo dell’Ottocento», come dice di lui Scorsese, che quasi ignora il cinema, se non quello dei classicissimi: Nosferatu, Vampyr, La Belle et la Bete. Un approccio al cinema che sembra ormai impossibile, nella prospettiva deturpante del linguaggio postmoderno.
Il segno più vistosamente autoriale che si evince dalla visione di Cani Arrabbiati sembra essere la scelta di girare praticamente in tempo reale. La sensazione che il tempo filmico coincida con il tempo del racconto, che la macchina non stacchi mai e che non ci siano salti o ellissi. Un tempo reale che include anche gli inevitabili tempi morti, resi però funzionali dalla magistrale costruzione del racconto. Tempi morti in cui sembra infatti accumularsi la tensione, attraverso crudeltà e violenza realistiche e sgradevoli. Sguardo violento quindi dove manca ogni compensazione moralistica, molto lontano dall’approccio fumettistico e iperbolico del pulp tarantiniano, ma estremamente crudo; un pulp neorealista, si direbbe, oppure un claustrofobico on the road che ha fatto scuola soprattutto per gli autori d’oltreoceano. Luoghi claustrofobici, caldo asfissiante e sudore sulla pelle, accentuano il senso di occlusione e di impossibilità di scampo. Una sensazione alla cui costruzione contribuisce la mise en scène, il realismo, l’assenza di luci artificiali e l’adozione di una macchina (Arriflex) a mano, oltre che al complesso lavoro sulla fotografia. È un Mario Bava puro e allo stesso tempo inconsueto, quello di Cani Arrabbiati, nudo e crudo perchè esasperato all’ennesima potenza.
Al male non c’è mai limite, sembra dirci Bava, senza alcuna intenzione moralistica. Quando il personaggio più spietato si rivelerà anche il più fragile, ecco che tutto verrà stravolto, quello che abbiamo immaginato come il personaggio migliore da un punto di vista morale, dismetterà la maschera e si rivelerà il più cattivo di tutti. Bava mette a segno un colpo di scena finale sapientemente costruito anche seguendo la storia filmografica degli attori coinvolti: un Riccardo Cucciolla, noto per i suoi ruoli di vittima innocente, che appunto si rivelerà il più spietato e avido di tutti; Don Backy, idolo delle teenager, utilizzato per descrivere un personaggio dalla complessa personalità, combattuto tra pulsioni edipiche e omosessualità latente. È proprio in questo modo che il regista Sanremese riesce a depistare il processo di immedesimazione e familiarizzazione, destabilizzando lo spettatore. Il bene sembra quindi una riflessione sul male in fondo, perchè la malvagità, si manifesta come ineluttabile radice primaria. Viene in mente un film di Pasquale Festa Campanile, dalla collocazione anomala anche in relazione alla filmografia del regista di Melfi, noto per le sue commedie; Autostop rosso sangue del 1977 è attraversato da estremo sadismo e cinismo, ma soprattutto è strutturato come un on the road in cui il male irrompe in tutta la sua forza corruttrice proprio come nel poco precedente film di Bava. Curioso è come entrambi i registi, per dare una svolta radicale al loro modus operandi, adottino gli stessi codici estetici, quasi ad avvalorare l’immagine di “luogo angusto in un tragitto verso la morte” come perfetta metafora della vita. (Continua a leggere la recensione: Gli EXTRA del DVD…)