Robert Mulligan gira The Other un anno dopo Summer of 42, legando i due film non solo alla fotografia di Robert Surtees, ma alla descrizione di un mondo rurale osservato dai due lati di uno specchio; sono due opere sospese nella medesima astrazione del ricordo, ma mentre il primo film ricombinava i frammenti di una memoria perduta in un percorso di educazione ai sentimenti, The Other declinava il senso della perdita nel suo rovescio ossessivo e terribile.
La Nantucket del ’40 ricostruita sulla West Coast a Mendocino ha la stessa luce del Connecticut di The Other, sono immagini che testimoniano un passaggio doloroso e che alludono entrambe alla morte. Hernie, alla fine di Summer of 42, guarda un adolescente sulle dune di una spiaggia svegliandosi in un altro tempo e perdendo irrimediabilmente le tracce di quello che era nel suo stesso riflesso mnestico; Niles, all’inizio di The Other, è sorpreso da una falsa soggettiva che si confonde con i rumori del bosco, primi segni di una presenza “altra” che Mulligan lascia emergere o al contrario assorbe nello scenario naturale con il movimento verticale di un dolly che ricorda l’inizio di To Kill a Mockingbird, altro film legato allo sguardo dell’infanzia e che sviluppa quella frattura tra il mondo degli adulti e quello dei bambini influenzando direttamente la messa in scena con la rappresentazione di barriere e ostacoli visivi e sopratutto una marcata soggettività dell’immagine, segno di questa distanza tra le due realtà che lentamente scivola verso una vera e propria rappresentazione dell’alterità.
Un’idea di doppio che in fondo attraversa tutto il cinema di Mulligan, sospeso tra le due dimensioni del sogno e della realtà, l’uno riflesso dell’altra in un percorso che sembra la “storia di un uomo segnato da un’immagine della sua infanzia“, giusto per rubare un riferimento a Chris Marker.
Scritto da Thomas Tryon sulla base di un suo stesso romanzo pubblicato nel 1971, The Other non fu amato dall’ex attore “maltrattato” da Preminger che non esitò a definirlo come un film montato malissimo e diretto anche peggio, forse in virtù della capacità di Mulligan nel trasformare tutte le opere letterarie alla base della sua filmografia in una radicale re-interpetazione per la messa in scena che lo stesso regista di New York definiva come vera e propria “attitudine nei confronti del materiale“.
L’alterità, che è quindi un tema ricorrente nel cinema di Mulligan, diventa esplicita con The Other, dove l’infanzia soggettiva di Summer of 42 diventa la proiezione inquietante di un’immagine allo specchio.
Niles (Chris Udvarnoky) riporta in vita Holland, il gemello morto, grazie alla fantasia del gioco e ad un’ambigua eredità sensoriale acquisita dalla nonna Ada (Uta Hagen), con la quale mantiene un dialogo privilegiato basato sull’invito della donna a interpretare l’invisibile come qualità da incoraggiare e connaturata allo sguardo infantile; un potere immaginativo che esploderà in tragedia.
Attentissimo a delineare le direttrici delle soggettive in campo, contrariamente al parere di Tryon, Mulligan costruisce un dispositivo dello sguardo rigorosissimo, negando e affermando la dimensione immaginale con la sola descrizione scopica, un saggio sul punto di vista che materializza e disgrega l’invisibile attraverso, tagli, prospettive e la logica del racconto allineata a quella del montaggio, un procedimento che contrasta e spesso contraddice il flusso di coscienza narrativo desunto dai testi letterari che ispirano i suoi film, quasi per evidenziare la distanza tra il testo e la messa in scena, tra memoria e immagine.
Allo stesso tempo, prende quota uno spazio interiorizzato e surreale di questo stesso contrasto, dove la libertà del sogno diventa il margine di una realtà impermeabile, separata dal resto del mondo, perchè come nel cinema di Kubrick, la frammentazione del discorso filmico (fermo immagine, zoom, flou, dolly) evidenzia una cataratta tra tempo del racconto e tempo dell’immagine, con una marcatura straniante che mette in relazione la vita con la morte, la presenza con la distanza.
Il cinema di Mulligan, sopratutto con Summer of 42 e The Other, diventa una riflessione radicale sull’immagine della memoria, da una parte Bazinianamente legata ad un’idea simbolica della vita oltre la morte, ma dall’altra, per l’ambiguità del punto di vista, scheggia del passato che ha già, Barthesianamente, i segni di una futura precognizione di morte.
La stessa ricostruzione storica degli anni ’30 in The Other, più che alla filologia del decòr punta alla creazione di un tempo sospeso, “gli oggetti“, dice Mulligan stesso, “non hanno un significato preciso nel mio cinema, son solo parte di un’atmosfera che voglio creare”
Il potere di uccidere che Niles acquisisce nel film assume una connotazione meno esplicita rispetto alle intenzioni psicologiche del romanzo di Tryon, proprio in virtù di questa ambiguità del punto di vista che per Mulligan non trova mai una soluzione razionale, se non nello scambio simbolico tra realtà e soggettività.
Senza inserire forzatamente il film di Mulligan in un contesto storico legato all’evoluzione del cinema Horror, The Other si pone comunque al centro di uno sviluppo imminente che ridefinirà il tema dell’alterità (The Bad seed) in una prospettiva simbolica e interiore legata alla relazione con il contesto famigliare, non solo Rosemary’s Baby che è di quattro anni prima, ma anche Something Evil di Spielberg, che è dello stesso anno del film di Mulligan, cosi come Images di Altman, The Exorcist di Friedkin che arriva un anno dopo e influenzando, a distanza di diciotto anni, il debutto nel lungometraggio di Philip Ridley, The Reflecting Skin, omaggio chiarissimo al cinema del regista Newyorchese, non solo per l’ambientazione rurale, ma sopratutto per il modo in cui la soggettiva infantile trasfigura l’orrore circostante in una dimensione sospesa tra sogno e memoria, recuperando persino alcuni elementi narrativi e grafici, come l’illusione di esercitare un’influenza diretta ed extrasensibile sul corso degli eventi oppure l’immagine del feto sottovetro che dal film di Mulligan porta ad un’agnizione speculare in quello di Ridley.
Film ignorato e sottovalutato dalla critica, sopratutto in Italia, The Other viene realizzato da Mulligan nella seconda fase della sua carriera, poco dopo la rottura del sodalizio con A. J. Pakula, produttore di molti suoi film, da Fear Strikes out fino a To Kill a Mockingbird, considerati erroneamente la parte migliore della sua carriera. Senza Pakula Mulligan si libera in un certo senso da certi obblighi industriali, autoproduce alcuni titoli, tra cui proprio The Other, ma sopratutto trasforma il suo stesso cinema in un’esperienza sempre più soggettiva sulla perdita dell’innocenza, fino all’ultimo capitolo della sua carriera, il bellissimo The Man In The Moon che in seguito rinnegherà per una mancanza di controllo totale sul montaggio finale.
Il DVD pubblicato da Sinister Film con distribuzione CG Home Video è un’occasione per recuperare uno dei film più intensi degli anni ’70; presentato in una buona qualità standard, mantiene il doppiaggio originale nella versione Italiana e contiene i sottotitoli in Italiano per quella Inglese. L’audio è in dual mono e il trasferimento di discreta qualità; una versione Blu-Ray avrebbe probabilmente compromesso la qualità opaca e sospesa della fotografia di Robert Surtees. I contenuti extra includono oltre al trailer, una breve presentazione di Luigi Cozzi girata all’interno del suo store, Profondo Rosso.