Questo articolo è dedicato a Simone Buttazzi, critico cinematografico e letterario, traduttore di talento, scrittore e amico sin dai tempi in cui le VHS erano oggetti di scambio appassionato. Senza la sua gentilezza, ospitalità e cultura, Berlino sarebbe per chi scrive ancora uno strano mostro inestricabile. Grazie a lui questa magnifica città è meno mostruosa, ma ancora misteriosa.
Da quando circola la versione Blu Ray di Possession per il mercato internazionale, la mappatura dei luoghi dove è stato girato il capolavoro di Andrzej Żuławski è più semplice. Tra i contenuti extra è presente il bel documentario di Daniel Bird intitolato “The Divided City” dove alcune immagini della Berlino attuale vengono messe a confronto con gli estratti più importanti del film. Un’analisi tutt’altro che turistica e legata allla morfologia stessa di una città in continua trasformazione. Separata da una cicatrice ancora visibile, la Berlino di Żuławski catturata agli inizi degli anni ottanta è profondamente diversa da quella attuale, ma non è impossibile scorgerne le stratificazioni sincroniche, con un procedimento che attiva la dimensione più viva e sorprendente della flânerie. Se la ricerca di un percorso già battuto da Bird e da altri consente di non perdersi attraverso una mappa filologica già predisposta, il gioco del confronto prende improvvisamente vita proprio grazie alle differenze, attraverso tutte le strategie e i percorsi possibili per raggiungere e sopratutto, riconoscere il luogo.
In una frase, è la forza del non visto e del fuori campo.
Sfido chiunque a trovare al primo colpo la chiesa serbo-ortodossa dove Isabelle Adjani guarda posseduta l’effige del Cristo. Incastonata nei complessi di Ruppiner Strasse, come altre chiese berlinesi, rimane invisibile tra mattoni, cemento e un piccolo parco disadorno che ne separa l’accesso. In un primo momento mi sono trovato davanti ad un muro di mattoni rossi che chiudevano l’accesso sul retro, una specie di “playground” condominiale, ennesimo piccolo mondo che ne apre altri e che invita all’esplorazione selvaggia il visitatore inesperto, al quale consiglio, da pari a pari, di gettare lo smartphone in un cassonetto.
“Possession”, ridotto troppo spesso al solo livello di un’allegoria politica, è in realtà un film sulla perdita di qualsiasi coordinata razionale, a partire dalla relazione tra morfologia della città e percorso interiore, fino alle modalità con cui il grande regista polacco dissolveva un genere nell’altro, dall’horror al dramma coniugale, dalla commedia surrealista fino alla relazione tra geografia urbana e mutazione della coscienza; simmetrie che ricorrono sopratutto a livello di composizione dell’inquadratura.
Due versioni dell’Europa sdoppiano il personaggio di Anna e tutti gli ultracorpi che in modo non sempre esplicito popolano questo film ancora potente e ai limiti del visibile. A ben vedere, quel mostro antropofago che fotte e uccide, è ancora tra di noi, più forte che mai.
Il nostro viaggio fotografico mette a confronto le immagini principali del film, in relazione ai luoghi come li abbiamo trovati oggi. Le due foto più piccole individuano la sequenza, mentre quella più grande è la foto scattata in loco dalla redazione di indie-eye.
Tra le numerose spaccature del film, quella che lo divide tra due appartamenti. Il primo ospita l’amore coniugale che volge al termine. Mark (Sam Neill) torna a casa dopo un imprecisato viaggio d’affari. Per tutto il film il suo rapporto con Berlino Est sarà sempre alluso e mai reso esplicito. Il menage con la moglie Anna (Isabelle Adjani) è tesissimo e una delle prime liti che testimonia la separazione in atto, si consuma davanti al blocco dove è incluso il loro appartamento, in Bernauerstraße 68
Simmetria e organizzazione dello spazio che in tutto il cinema di Żuławski assumono le caratteristiche di un’esperienza iniziatica e palindroma, dove ogni elemento dell’architettura segnala il passaggio verso un differente stato della coscienza, se non dello stesso “mondo” percepito. La divergenza delle linee che costruisce l’immagine filmata in Bernauerstraße si ripete nella sequenza che precede la violentissima esplosione di Mark contro Anna, al Café Einstein in Kurfürstenstraße 58. La villa che lo ospita, fu originariamente commissionata dall’industriale tessile Gustav Rossmann nel 1878. Acquistata nel 1920 dal banchiere ebreo Georg Blumenfeld, fu in seguito usata dalla repubblica di Weimar come sala per il gioco d’azzardo d’alto bordo. Bloccato dalla censura nazionalsocialista durante gli anni trenta e trasformato in quartier generale nazista fino al 1945, sarà l’unico edificio a rimanere in piedi rispetto a tutti quelli che lo circondavano e verrà rilanciato solo nel 1978, a pochi anni di distanza da “Possession”. Lo stile era ed è ancora quello del caffè viennese, grazie all’interesse di Uschi Bachauer e del suo staff, attentissimi alle ricette originali dei dolci austriaci. Gli interni non sembrano invariati di molto rispetto agli anni in cui Zulawski girava a Berlino, è un luogo particolare ubicato in una zona residenziale nella parte più a est di Berlino Ovest, dove si percepiscono numerose stratificazioni, grazie anche ai memorabilia che ne ripercorono le attività come club durante gli anni venti. Anna e Mark vengono disposti da Zulawski secondo la consueta simmetria divergente, con le linee direttrici che puntano in direzioni opposte, preludio ad una formidabile distruzione dello spazio che segue da vicino gli attori, in un corpo a corpo tra macchina da presa e performance. I numerosi specchi che occupano l’ambiente, favoriscono la frammentazione dell’immagine e la possibilità di ingresso in una realtà sdoppiata. Una caratteristica rimasta invariata, come è possibile vedere dalle foto che vi proponiamo. La sala è stata semplicemente ridisegnata per accogliere più posti, eliminando i divanetti addossati alla parete, ma gli specchi e tutta la sezione centrale sono ancora al loro posto.
Il detective privato incaricato di pedinare Anna, a un certo punto del film dirà a Mark che la moglie entra ed esce frequentemente dal portone numero 87 di Sebastianstrasse. L’appartamento del “mostro” che tiene sotto controllo la donna e che copula con lei, è ubicato in una zona di Kreuzberg di fronte alla linea di separazione del muro.
Il palazzo ha subito le stesse trasformazioni dell’intera area, negli anni ottanta sede poverissima delle controculture e degli immigrati turchi, adesso zona residenziale con un alto livello di gentrificazione. Sebastianstrasse testimonia ancora la cicatrice del muro, che si estendeva spaccando letteralmente in due la stessa via da Ovest a Est, ergendosi a soli tre metri dal portone numero 87.
La U-Bahn di Gleisdreieck, tratto di connessione per le linee U1 e U2, è il percorso seguito dal detective ingaggiato da Mark per pedinare Anna. Chiunque dovesse tracciare una via più logica rispetto a quella scelta dal personaggio Zulawskiano per raggiungere l’appartamento del mostro, basandosi quindi sulla complessa ed efficientissima rete di trasporti berlinesi, dovrebbe per forza fare i conti con due percorsi stratificati e alternativi nel tempo. Quello più vicino a noi, che con la U8 collega direttamente Bernauerstrasse fino all’appartamento ubicato a Kreutzberg e il percorso di Anna, costretta dal muro ad utilizzare le stazioni fantasma della metropolitana, ovvero quelle linee di Berlino ovest che percorrevano un breve tratto nel settore orientale della città, dove era impossibile scendere. Ma è un’altra la sequenza memorabile ambientata dentro il collegamento tra esterno e sottosuolo dell’U-Bahn berlinese. La possessione di Anna con conseguente aborto spontaneo si ambienta tra i distretti di Kreutzberg e Tempelhof-Schoneberg, vicino all’areoporto abbandonato e ri-utilizzato di Tempelhof. Originariamente chiamata “Kreuzberg”, viene rinominata nel 1975 come Platz der Luftbrücke
Meno ricordata ma altrettanto potente, l’altra scena di “possessione” ambientata dentro la chiesa attualmente devota al culto serbo-ortodosso, mentre Anna “soffre” davanti all’effige del Cristo. L’originaria Friedenskirche viene eretta come chiesa luterana dall’architetto August Orth nel 1888. Danneggiata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, viene restaurata negli anni cinquanta. A partire dagli anni ottanta rimane sostanzialmente inattiva fino al 2001, quando cambia nome in Friedenskirche Zum Heiligen Sava, dedicata all’omonimo santo e quindi associata al culto ortodosso, sostanzialmente per servire la gentrificazione serba della zona. Suggestivo il fatto che nel periodo in cui Zulawski filma, se non propriamente sconsacrata, la chiesa sarà destinata a rimanere senza culto per vent’anni. Ubicata in Ruppiner Strasse 29 è una delle tante chiese presenti a ovest e inserite tra i blocchi suburbani. Anche per questo motivo, non è facile raggiungerla.
Dietro l’angolo rispetto all’appartamento del mostro, tra Oranienstrasse and Luckauerstrasse, si trova il pub dove Heinrich, l’amante di Anna appena colpito a morte, chiede soccorso allo stesso Mark. Costruito nel 1879, lo “Stiege” non è cambiato in modo visibile, almeno dall’esterno.
La motocicletta di Heinrich è al centro di un’altra sequenza memorabile. Mark se ne impossessa per scappare dal luogo in cui è stato trovato il cadavere di Margie, l’amica di Anna. Durante una sparatoria con la polizia Mark viene ferito. Nella sequenza a cui ci riferiamo corre lungo Schlesischestrasse per imboccare i tunnel che conducono alla parte esterna dell’ Industriepalast dalla parte del fiume. Il complesso, costruito tra il 1907 e il 1908 dagli architetti Boswau & Knauer si trova al numero 29-30. Monumento di valore culturale, è adesso popolato da numerose abitazioni.
Tra i percorsi di Mark, all’inizio del film, quello legato al suo lavoro e alla riscossione dello stipendio dovuto dai suoi misteriosi datori di lavoro, gli stessi che ne richiederanno ancora una volta i servigi per mantenere tutte le connessioni con l’uomo dai calzini rosa. Gli uffici dei suoi responsabili sono ubicati tra Hohenzollerdamm e Fehrbelliner Platz, e si raggiungono attraverso quest’ultima, uscendo dalla stazione della metropolitana con lo stesso nome. Il palazzo da cui esce Sam Neil con la sua valigetta diplomatica è originariamente destinato all’amministrazione del senato per lo sviluppo urbano ed è stato concepito da Otto Firle nel 1934, come parte di un concorso di architettura lanciato da Hitler e Adolph Speer, orientato a far risplendere la mitologia del nazionalsocialismo.
Ci piace chiudere con un non luogo. Questa odissea duale che spezza ogni logica binaria, chiude con un’immagine che trattiene tutto il mistero dell’infanzia negata.