The Sniper
Nel 1900 I.S. Bloch, economista russo, in Modern War and Modern Weapons, studiando i “magazine rifles” scrisse: “La guerra del futuro sarà una guerra di assedi e posizioni radicate … La prima cosa che ogni uomo dovrà fare sarà scavare una buca.”
Dall’incipit allo shaw down finale in una rimessa abbandonata di auto, The Sniper non è che questo, la guerra del futuro, oggi presente, guerra metropolitana senza quartiere.
Nella città, dilatazione smisurata dello spazio artificiale, tutto può diventare trincea, statica postazione di un cecchino sdraiato a terra o appostato dietro una parete, con quell’estensione di sè che è il suo fucile, mentre la sua mente matematica calcola con precisione assoluta canna, peso della pallottola, condizioni climatiche, temperatura, grado di umidità e vento. Quindi spara.
“L’arma di un cecchino è fondamentale per il successo di una missione. Se il fucile ha un problema diventa tutto inutile. Non importa quanto è bravo il cecchino. La cosa più importante è proteggere il fucile” – voice over in apertura.
Il cecchino “… dispone della vita e della morte altrui. Non è la sua vita in gioco, se esita o perde fiducia in sè stesso perde un’occasione irripetibile” – dice Lam nel ricco making of fra gli extra del DVD.
Diventare top shooter, essere nella lista e scalarne il vertice: questa è la ragione di vita per uno dei corpi di polizia più efficienti al mondo, gli SDU di Hong Kong, sezione di cecchini preposti, con le squadre speciali di irruzione, a funzioni di sorveglianza e alla liberazione di ostaggi.
Furono gli Inglesi, nel ’74, a creare il corpo e addestrarlo. Oggi l’ SDU sfiora la perfezione con un tasso altissimo di risoluzione dei problemi.
Dante Lam, reduce dal successo di The Beast Stalker dell’anno prima (siamo nel 2009), gira un film che del poliziesco hongkonghese mette a fuoco un aspetto insolito e ne fa il centro gravitazionale:
“Puntiamo i riflettori su questi uomini di cui non si parla mai in televisione, ma che sono dei veri professionisti.”
Film dalla storia difficile, colpito quasi a morte dallo scandalo che, in fase di montaggio, coinvolse Edison Chen, uno dei tre protagonisti, ritardando di un anno l’uscita sul mercato con inevitabili disastri al box office, è costruito da Lam con un’operazione che sembra impossibile, un action movie quasi senza movimento:
“Adoro i film sulle armi, – dice il regista – anche se sono difficili da fare. Quella del tiratore scelto non è un’azione molto movimentata, non c’è alcun contatto tra rivali, avviene tutto a distanza e non è facile creare tensione con una sparatoria di quel tipo”.
Su queste premesse The Sniper vince una sfida che lo iscrive a pieno titolo nella rinascita del cinema hongkonghese, dopo la parentesi negativa degli anni novanta. Opera di deciso rigore formale, tesa nel montaggio parossistico delle sequenze dinamiche, blocca fulminea l’action nel frequente fermo-immagine e affonda nell’asfissia delle emozioni.
Storia che oscilla fra vendetta e follia, scava nelle zone più remote della mente in un passaggio ossessivo di colori nella fotografia di Man Po Cheung, sinergia perfetta con le livide trame sonore di Henry Lai, dalle martellanti percussioni industriali di Jail Break e Abduction, ai sottili arpeggi di Lovetheme, dalle atmosfere sospese di Death of a Friend ed Elevator Shoot Out , ai crescendo vorticosi di Final Shoot Out, On a Rainy Night e Theme from the Sniper.
Del noir ha le atmosfere plumbee, del gangster movie i bagliori d’acciaio e i fiotti di sangue.
Metamorfico e visionario, sempre in divenire, è realistico fino all’esasperazione, ma si colora di leggenda nel riproporre in primo piano l’eroe, epico e solitario, in simbiosi con l’uomo fragile nelle sue sconfitte.
La lunga parte iniziale racconta l’antefatto, brevissimi flashback e ritorni al presente creano una climax ascendente che punta dritta alla catastrofe finale. Quindi la tensione si scioglie nell’ultimo movimento, allegoria compensatoria in cui si raccoglie il messaggio profondo di un film in cui la violenza delle armi è un pretesto per parlare dell’uomo.
Edison Chen (OJ), Richie Ren (Hartman) e Huang Xiaoming (Lincoln) sono i tre protagonisti. Intorno a loro il mondo dei tiratori scelti e la loro esasperata competitività. Le azioni spettacolari contro il milieu malavitoso della città non sono l’elemento centrale del film, anche se danno vita a folgoranti scene di azione (la sparatoria in ascensore e la liberazione di un criminale durante uno scontro a fuoco sono da antologia).
Momento qualificante del film, su cui s’innestano le dinamiche della rivalità per il primato, è il percorso di addestramento dei cecchini. La bellezza tattile delle riprese, le sagome fredde sullo sfondo dei grattacieli, mentre mirano su obiettivi sempre più lontani, 400, 500 metri e sei il top shooter, tutto appartiene alla maestria di un regista che di armi e di cinema s’intende molto:
“Il regista esige un grande realismo soprattutto dal punto di vista tecnico – conferma Wai Lun Ng sceneggiatore fisso di Dante Lam, a volte con il nome di Jack Ng – c’è un’arma adatta ad ogni scena, è un vero professionista, ha studiato a fondo le armi e il modo di impugnarle, le sue riprese sono improntate alla massima precisione”.
Ma The Sniper va oltre, cerca un’adesione perfetta con la caparbietà dei protagonisti e ottiene empatia profonda con Lindon e Hartman, segnati da una rivalità distruttrice che coinvolge tutto il corpo di polizia nella loro vicenda personale, si estende all’intera città e distrugge le relazioni private nella qualità fredda e disumanizzante della loro scelta di vita.
Solo Edison Chen /OJ, giovanissima recluta di eccezionale valore, in cui Hartman ha fiutato la stoffa del top shooter (Ogni agente ha una pistola, ma non tutti hanno il coraggio di sparare, non è facile uccidere un uomo. OJ può farlo, perché nei suoi occhi c’è lo sguardo di un cecchino) riuscirà a scampare alla trappola mortale del proprio ego: Oggi sono io il top shooter. Prima o poi qualcuno vorrà sfidarmi, ma non sarò mai il suo nemico. Personaggi tridimensionali, Lam registra la loro evoluzione affidandone le caratterizzazioni ad attori di robusta presenza scenica. Fra i tre, la performance più forte è quella di Xiaoming Huang/Lincoln. Eccentrico e solitario, il top shooter assoluto che colpisce l’obiettivo a 500 metri in una giornata di vento, è un border line che non riesce a convivere con sè stesso. Portatore di un destino già scritto, accusato di omicidio colposo durante un’azione con ostaggi in cui l’eccessiva sicurezza di sè lo ha portato a premere un grilletto di troppo, sconta la sua pena e quindi distrugge la sua vita per vendicarsi di Hartman, testimone d’accusa nel corso del processo. Forse Hartman era spinto da inconfessabile rivalità, forse Lincoln non ha sbagliato a sparare, quello che c’è di vero è l’odio reciproco, incontenibile, e quel loro frenetico rincorrersi fino alla fine, quando non resteranno che morti e macerie.
“Non lo considero un film d’azione né un poliziesco,- conclude Lam – non avrei mai accettato di girare l’ennesimo film d’azione. I personaggi si evolvono, ho capito subito che mi offrivano la possibilità di farli crescere. Il film non parla solo del lavoro del cecchino, mostra il viaggio interiore di ciascuno dei personaggi. Sono costretti a scegliere tra gli amici e la famiglia e il lavoro che hanno scelto, è un film molto realistico e ricco di umanità. E’ straziante osservare i rapporti che esistono tra di loro.Questo film offre degli spunti su cui riflettere”.