Home Digital Collezione Miklós Jancsó 2DVD d Mustang Ent. e Rarovideo: il video unboxing

Collezione Miklós Jancsó 2DVD d Mustang Ent. e Rarovideo: il video unboxing

Mustang Entertainment e Rarovideo, con distribuzione CG Entertainment pubblicano la “Collezione Miklós Jancsó” curata da Bruno Di Marino. Due DVD e Booklet allegato di 16 pagine, con un’antologia critica sul grande regista unghesere. I film inclusi sono due: “I disperati di Sandor” del 1966 e “L’armata a Cavallo“, realizzato l’anno successivo. Entrambi fanno parte di una trilogia realizzata dal grande regista ungherese e che includerà anche “Silenzio e grido“, uscito nel 1968.

*Prodotto omaggio stampa inviato dall’etichetta

Morto nel 2014 all’età di 92 anni oltre ad aver lasciato dietro di se una serie di opere importantissime, ha influenzato moltissimi autori dell’est e non solo. La convivenza tra i lunghi piani sequenza e i complessi movimenti di macchina capaci di disvelare una realtà stratificatissima, la meticolosa organizzazione dell’inquadratura, la persistenza del tempo; sono solamente alcuni dei segni più evidenti del suo cinema.

Dopo un periodo di grande successo legato all’esposizione festivaliera tra gli anni sessanta e gli anni settanta, culminato con il premio per “Salmo rosso” (1972), il cinema di Miklós Jancsó torna in un certo senso nell’oscurità al di là di alcune eccezioni, ma continua a vivere incessantemente fino al primo decennio del nuovo secolo.

Giunto tardi al cinema dopo una lunga esperienza nel teatro, realizza intorno ai quaranta anni i suoi primi film rilevanti, inclusi i due contenuti nella collezione Mustang e si trasferisce in Italia nel 1968 proprio dopo la nota trilogia, insieme a Giovanna Gagliardo, giornalista e sceneggiatrice, con la quale collaborerà per oltre dieci anni. Il primo film italiano di Jancsó è di due anni dopo e si intitola “La pacifista”, interpretato da Monica Vitti, mentre è del 1975 il notissimo “Vizi privati, pubbliche virtù” che scandalizzò il Festival di Cannes.

Per quanto “I disperati di Sandor” (Szegénylegények) sia forse meno radicale dei film successivi, dove la combinazione di movimento “coreografato” e piano sequenza, pone i corpi in una relazione estrema con lo spazio, il film è un saggio esemplare di cinema politico. Il potere, la sua arbitrarietà, la crudeltà e la pulsione verso il degrado e anche la sua stessa transitorietà sono gli aspetti più importanti. Ambientato nel 1860 come suggerisce la voce fuori campo, all’alba dell’impero Austro-Ungarico, in realtà dialoga con l’Ungheria coeva, ma anche con qualsiasi epoca, tempo, esercizio del potere. I disperati del film sono le vitime di un campo di concentramento, confinati in una “prigione rurale” senza alcuna speranza , ma allo stesso tempo indicano il giogo del popolo, qualsiasi popolazione tenuta sotto scacco dal potere. L’invisibilità di Sándor Rózsa, rivoluzionario evocato e temuto, rimane il punto di contatto con l’idea di resistenza, una rivolta politica e interiore che rimane volutamente elusiva, ma che allo stesso tempo permea lo spirito dell’intero film.

Primo tra i film del regista ungherese filmati in panoramico 2.35:1 è anche quello che introduce in modo specifico la sperimentazione sulla composizione del quadro, tra astrazione della scena e messa in scena minimale, tanto da enfatizzare gli elementi materiali e costitutivi stessi dell’immagine, come “pressione” della composizione stessa fuori dai parametri narrativi tradizionali, erosi dal suo stesso interno. 

Bela Tarr stesso considera il cinema di Jancsó come uno spartiacque fondamentale tra il cinema ungherese precedente e quello successivo. Una connessione, quella tra i due autori, evidente per certi versi, ma mai profondamente analizzata.  Uno degli elementi di contatto è certamente il personalissimo modo di concepire lo spazio e il tempo, mentre interrogano la storia del proprio paese e quella di tutta l’Europa.

L’armata a Cavallo” (Csillagosok, Katonak) nasce come film su commissione per le celebrazioni legate alla rivoluzione di ottobre, ma il regista ungherese lo trasforma in un film profondamente anti-eroico e anti-retorico, che come il precedente racconta la brutalità del potere e la violenza della guerra civile. Politico è il modo in cui il film lavora sul contrasto tra le immagini di conflitto e la geometria dell’assetto militare. L’insistenza di Jancsó sui motivi e la composizione nell’immagine, contrasta spesso con i movimenti che la rendono improvvisamente instabile e dai confini aperti, quasi per sottolineare la frizione tra elementi di organizzazione razionale e aspetti totalmente irrazionali. Raramente si era vista e si è poi sperimentata al cinema una rappresentazione del potere così specifica e anti-didascalica, proprio  dal punto di vista del funzionamento endogeno. 
Dovessimo tracciare una linea ideale nel modo di concepire tempo dell’immagine, questa includerebbe necessariamente il cinema di Jancsó, Tarkovsky , Antonioni e Bela Tarr.

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