E’ in vendita da oggi, tre dicembre, il DVD di Gomorra di Matteo Garrone, distribuito da 01 Distribution in tre versioni.
Quella standard, oltre al film contiene un estratto dai contenuti speciali inclusi nella versione doppio disco, che da questo punto di vista risulta la più appetibile, il disco numero due contiene infatti la versione integrale di Gomorra 5 storie brevi (60 minuti), Scene Tagliate (15 min), Intervista a Roberto Saviano (40 min.) Intervista agli attori (10 min.) Galleria fotografica e Trailer. La versione Blue Ray è ovviamente identica a quella doppio disco per quanto riguarda il materiale incluso ed ha naturalmente un formato video 1080p HD per un rapporto 16/9 2,35:1. Da questa parte il sito di 01 Distribution; di seguito un approfondimento del film curato da Elisa Baldini.
Parlare di Gomorra è difficile. La sensazione è quella di dover commentare,o ancora peggio giudicare, applicare un giudizio critico a qualcosa di gravissimo che semplicemente succede, esiste, coinvolge ogni giorno centinaia di persone e sospinge verso ignota e preoccupante direzione tutti noi, nessuno escluso. Eppure è un film, un’opera artistica, e in quanto tale non dovrebbe essere sentita come una violazione la recensione critica. Il fatto è che Gomorra, lungi da essere un documentario o di farne le veci, porta con sé la dirompente necessità ed esattezza del documento, della testimonianza, allontanandosi però, e molto, dal tono da reportage dettagliato con nomi e cognomi del libro di Roberto Saviano. Matteo Garrone sorride noncurante e un po’ scocciato quando gli chiedono-e lo fanno continuamente,soprattutto la stampa straniera- se si senta al sicuro senza la scorta. Ma non è l’aver usato nomi di fantasia invece che quelli reali a rassicurarlo sulla possibilità di subire ritorsioni personali. Lui e la sua troupe, infatti, hanno già fatto la prova del nove penetrando nelle viscere della criminalità organizzata e non che pullula nelle Vele, a Scampia, senza richiedere la protezione della polizia, usando come unica misura precauzionale un altro titolo sul ciak. Le persone del luogo, i diretti interessati, hanno a poco a poco preso posto accanto a lui dietro al monitor, attratti dal magico mondo del cinema, ma anche verificatori certi di quello che il film voleva rivelare. E non si sono sentiti aggrediti, offesi, complici di un’opera di denuncia che in qualche modo li vedeva, colpevoli o no, coinvolti. Garrone si è avvicinato alla realtà di Gomorra-libro con uno spirito complementare ed opposto, che non è appunto quello di chi sa e finalmente dice, ma quello di chi i fatti noti vuole indagarli,verificarli, sollecitarli a rivelarsi.
In Gomorra infatti non sono i nomi ed i fatti a parlare e far parlare, ma sono le facce, i luoghi, il dialetto quasi completamente incomprensibile per il non napoletano e difficilmente comprensibile anche per il napoletano medio-borghese. Garrone, come ama ricordare, è prima di tutto un pittore di immagini cinematografiche, non un affabulatore di storie. Gomorra è terribilmente afasico, nonostante il profluvio verace che, in certi punti, deborda e le note solite e diegetiche dei neomelodici, unica concessione rimasta alla colonna sonora. L’esatta dimensione delle cose si chiama in causa da sola attraverso la modulazione dell’architettura visiva: gli spazi, dal minimo ristretto a navicella-solarium fantascientifica dell’inizio al massimo dello sguardo sul deserto marino di Marco e Ciro pistoleri delle acque. Altrove sono le pistole che si ingrandiscono in primo piano allungate da mani ferme, ombre bluastre o soleggiate che disegnano perfettamente le dinamiche dei rapporti, senza bisogno di spiegazioni e retorica.
Per trovare qualcosa a cui un film del genere assomigli bisogna andare molto indietro nel tempo e nel nostro Dna cinematografico, fino al cinema neorealista. Non a caso l’unico film a cui Garrone ammette di essersi ispirato è Paisà di Roberto Rossellini : “Tra l’altro la scena dell’iniziazione dei ragazzini –come ho scoperto solo in seguito- l’abbiamo girata nella stessa scena in cui lui realizzò quella del soldato che va a riprendersi le scarpe, trovandola piena di rifugiati” (Duellanti, giugno 2008). Paragone importante, assimilazione nobile, e anche pericolosa, sotto certi aspetti. Le premesse ci sono fin dai metodi di lavorazione: già la stesura della sceneggiatura richiama l’usanza di quei tempi di lavorare al film in squadra (hanno lavorato al copione in sei: lo stesso Saviano, Maurizio Bracci, Massimo Gaudioso, Ugo Chiti, Giovanni di Gregorio e Garrone). Ma la sceneggiatura, composta di sei storie poi ridotte a cinque, (la sesta era quella di Christian e Serena, che doveva dare un tocco melò) è stata solo un punto di partenza, come era per Rossellini d’altronde, qualcosa che acquista di significato solo dopo essere stata ‘testata’ sul campo, confrontata coi luoghi e le persone che fanno il film. Gli attori principali non sono presi dalla strada, quasi tutti infatti hanno avuto precedenti esperienze soprattutto teatrali, ma fanno comunque parte delle realtà che il film racchiude, per nascita o esperienze di vita (lo stesso Servillo, commenta Garrone, viene da Afragola e la sua famiglia vive ancora in quei luoghi).
Ma è soprattutto l’attitudine di regia nei confronti della realtà interrogata che accosta Gomorra ai film di Rossellini in particolare e al neorealismo in generale. E la stessa incapacità di recensione critica, di giudizio di fronte a Gomorra è la stessa che provo vedendo film come Paisà, Germania anno 0, Ladri di Biciclette. Film appunto dove la forza visiva del documento, non casuale ma abilmente orchestrata, restituisce il senso delle cose senza visibili manipolazioni. E la sensazione è quella di uno spiazzamento spazio-temporale per cui sono di fronte ad un film ma potrei anche non esserlo, perché quelle cose esistono (sono esistite) e sono così. Riprendendo una gestione dello spezzettamento episodico altmaniana (alla Short cuts, per intendersi), Gomorra gestisce la nostra discesa negli inferi campano-italici senza farci sentire la solida mano che ci accompagna, perché il film stesso è dentro la realtà. E lo stesso Garrone, che pilota anche la macchina da presa, ha raccontato nell’incontro bolognese un episodio che ci rende la portata della sua immedesimazione: durante la ripresa di una sparatoria con macchina a mano, nascosto dietro un albero che spiava la scena , sentendo un colpo di pistola a salve è caduto a terra come se lo avessero colpito, con direttore della fotografia e operatore al seguito, culo a terra, convinti che fosse un’ardita invenzione di regia, per accorgersi poi che Garrone rideva come un pazzo mentre l’obbiettivo inquadrava incurante e capovolto il cielo blu.
Ciò che distanzia enormemente Gomorra da film come Roma città aperta o Ladri di biciclette etc..è la mancanza di quel coinvolgimento emotivo che è stata una delle caratteristiche del neorealismo, quel buonismo, quasi, di fondo, e soprattutto quel senso di possibilità e speranza, che, pure nella miseria, questi film emanavano. Gomorra è un film lucido, implacabile fino alla freddezza: in questo senso può essere paragonato al film più lacerante e pessimista di Rossellini, Germania anno 0, più che a Paisà, che in qualche modo era soffuso dall’entusiasmo della liberazione. Germania anno 0, invece, porta all’estremo l’attitudine a mostrare senza dire, prendendo atto di una realtà, che, come la Germania del dopoguerra, è solo macerie. Scrive Gianni Rondolino, in riferimento a questo film: “Rossellini, nel limitarsi a documentare la realtà (…) pare rifugiarsi dietro l’evidenza, e quasi annullarsi nella manifestazione, addirittura nella nascita di una realtà di cui la cinecamera è soltanto un mezzo di rivelazione.”
Lo stesso si può dire per Gomorra: L’imbalsamatore o Primo amore, anche se –diversamente- spietati, conservavano un respiro emotivo che questa volta non c’è. Alle prese con una Napoli non luogo idealmente in macerie non resta che la constatazione, la consapevolezza muta che per ricominciare bisogna comunque ripartire da qui, da zero.