venerdì, Settembre 20, 2024

Il Primo Benigni in Tv: Vita da Cioni / Onda Libera, Vol.1 (CG Home Video, 2012)

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Titolo: Il primo Benigni in tv – Vita da Cioni
Formato Video: 4/3 1.33:1
Audio: Italiano Dolby Digital 2.0 | Italiano Dolby Digital Dual Mono
Sottotitoli: Non disponibili
Extra: Inedito: la presentazione del programma, raccontato da Roberto Benigni
Acquista Vita da Cioni dall’e-store CG Home Video

 

Titolo: Primo Benigni – Onda Libera, Vol 1
Video: 4/3 1.33:1
Audio: Italiano Dolby Digital 2.0
Sottotitoli: Non disponibili
Extra: Inedito assoluto: la presentazione della puntata, raccontata da Roberto Benigni

Acquista Onda Libera, primo volume dall’e-store di CG Home Video [/box]

La Melampo Cinematografica di Nicoletta Braschi, in collaborazione con CG Home Video, riedita per la prima volta in DVD, i due programmi RAI che sancirono l’atto di nascita del personaggio Roberto Benigni, almeno a livello del pubblico televisivo: essendo già noti nei circuiti dei teatrini off della capitale i suoi lavori in coppia con lo straordinario Carlo Monni. Ed è l’occasione per tornare in contatto col Benigni che quasi non si ricordava più fosse mai esistito: quello incontenibile, ipercinetico, feroce, rabbioso, aggressivo ed autenticamente poetico; quello che parla male del papa, per dirla con Banfi e Salce. Il primo, come titola la stessa collana, distinguendolo nettamente dalla sua immagine più recente. Oltre che con due esempi di televisione come in Italia non s’era mai vista fino ad allora e che oggi non può più esistere, tantomeno in questa forma.

Scritti con, tra gli altri, Giuseppe Bertolucci, anche regista di Vita da Cioni, i due programmi trasportavano nel mezzo di massa un’ipotesi di sperimentazione applicata ad immagine e parola, affidandosi totalmente, soprattutto il primo, alla maschera stravolta e lunare del salace, acuto e disperato Mario Cioni.

Il personaggio viene ripreso in una provincia metafisica, silente e notturna, popolata quasi solo da lui stesso, a riflettere con esemplare lucidità contadina, sulle discrasie dell’esistenza; sulle abiezioni dell’uomo; sull’alienazione; sulla reificazione e sulla solitudine; sullo scontro sociale e generazionale; sulla religione e sul sesso, in un soliloquio continuo e con pochissime altre figure, ora presenti in scena (il Monna, l’impassibile ragazza interpretata da Chiara Moretti), ora mute e invisibili soggettive oltre lo schermo (il barista, la madre). In uno scenario spoglio, desolato e disperante, che muta configurazione in ognuna delle tre puntate. Sono gli interni del non-luogo di provincia per definizione: il bar, tratteggiato con pochi elementi distintivi (bancone, jukebox, saletta tv); la miserrima casa dei Cioni e un desolato vialetto di campagna ricostruito in studio. Un Beetlejuice vernacolare prigioniero di un plastico paesano.

I monologhi del Cioni riflettono lo scenario di una società in piena crisi (gli anni di piombo), osservando la realtà da una prospettiva sfalsata, quella della periferia dell’impero, che pone ad osservare i movimenti storici in differita, filtrandoli e riportandoli, sempre e comunque, alle proprie contingenze, attraverso l’ingenua ma vivida critica di chi trascorre l’esistenza tentando disperatamente di unire pranzo e cena e che trascina i conflitti come lascito atavico, col cinico e beffardo disincanto di un ottavina recitata in osteria. Da questo punto di vista, quello sulle scarpe del conte, è un pezzo poetico/politico che ha del sublime: un Chaplin (il cui Vita da cani è il referente ideale) come fosse tratteggiato da Sergio Citti (che non a caso dirigerà Benigni in un’altra iperbole catodica come Il Minestrone).

Vita da Cioni subì il veto della censura e venne mandato in onda solo due anni più tardi la sua realizzazione. Nondimeno, che un’opera dal portato così pesante sia comunque andata in onda, seppur ad orari impensabili, è il segno di un mondo che non esiste più. Va da sé che la carica realmente eversiva del Cioni, qui resta sempre un po’ trattenuta. Avrà modo di esplodere definitivamente in Berlinguer ti Voglio Bene, dove le potenzialità del personaggio verranno esposte in tutta la loro forza.

L’unicità crepuscolare di Vita da Cioni è in qualche modo rimarcata dall’altro show in quattro puntate, trasmesso dalla Rete 2 RAI nel 1978, Onda Libera (titolo anestetizzato dell’originale, più ruvido, Televacca), dove gli assunti di quello, sebbene nella logica deformante della parodia, vengono però riportati a dei moduli televisivi più consueti. O almeno così paiono in prospettiva. Qui l’attore di Castiglion Fiorentino, accompagnato dal fedele Carlo Monni, mette in campo un Cioni diverso, più risoluto, più smaccatamente comico. Onda Libera è il Roberto Benigni’s Flying Circus, in cui alla problematicità del precedente, si sostituiscono una valanga di nonsense funambolici; episodi apparentemente scollegati tra loro; monologhi al fulmicotone; una marcata e violenta fisicità, esplosioni comiche incontenibili ed inattesi momenti di stasi. Insomma se Vita da Cioni era una prova tecnica, qui emerge il Benigni vero e proprio: la scheggia impazzita della cultura nazionalpopolare: quello che prende in braccio Berlinguer; salta addosso alla Carrà; quello osceno delle epurazioni; quello che gira con Jarmusch e che, tra vari aggiustamenti di tiro, arriverà, grosso modo, fino a Tassisti di Notte.

Così come in Vita da Cioni, anche in Onda Libera l’approccio è cinematografico: si simula, sempre con la complicità di Bertolucci, una rete pirata che deliberatamente s’inserisce sulle frequenze RAI, per trasmettere i propri deliri da una stalla con tanto di autentico bestiame in vista.

Ad essere drammatizzata è ancora la voglia di raccontare l’attualità attraverso lo sguardo ingenuo ed impietoso della gente di provincia. Anzi, di chi, tra la gente di provincia, è comunque l’ultimo: l’emarginato geniale, l’idiota sapiente. I due, Cioni e Monna (in tenuta da mungitura), tentano di riprodurre su scala ridotta l’immaginario televisivo del varietà, con le esigue possibilità a loro disposizione e la totale incapacità di gestire il mezzo (inarrivabili le sequenze viste dalla telecamera a mano del Monna). Si tenta la replica dell’esempio maggiore, con gli ospiti d’eccezione, la valletta sexy, il notiziario e così via. Solo che qui (considerando unicamente questa prima puntata) gli ospiti sono irregolari operaisti, come uno straordinario Francesco Guccini e un raro Gianfranco Manfredi. Le notizie interessano giusto la comunità rurale dalla quale trasmettono (la lite al bar) e la valletta è più che altro una distratta bella del paese. In mezzo, le finte interruzioni del canale principale che tenta di riappropriarsi delle frequenze piratate e le signorine buonasera che si scusano per l’interruzione.

Onda Libera rivisto oggi, perde in parte la sua carica dirompente, apparendo come uno sberleffo graffiante ma non troppo; interessato, più a scompaginare il protocollo televisivo, ad alterarne la grammatica, che a scavare davvero in profondità: rivoluzionario, per certi versi, solo se rapportato alla realtà della televisione di Stato del tempo (che però, di fatto, in quegli stessi anni, accanto alle  classiche produzioni di massa, affiancava programmi come questi o preziosi capolavori come Diario di un Maestro di De Seta)  La politica c’è ancora ma è filtrata e resa funzionale alle meccaniche dello spettacolo vero e proprio. L’anticapitalismo for dummies dello sketch su cinesi e americani o il coro che, decontestualizzandola in una stalla, ridicolizza giustamente Tripoli bel suol d’amore, in un periodo di tesissimo scontro ideologico, sono affermazioni però tutt’altro che banali di un gruppo di artisti in stato di grazia.

Per ciò che riguarda il riversaggio in digitale: è buono ed immagine ed audio sono chiari. Sarebbe stato preferibile accorpare tutte le puntate di Onda Libera in un unico volume, ma tant’è: mai discutere le logiche del commercio. Ciò che si sarebbe auspicato davvero è invece una sezione extra più corposa ma magari le restanti tre uscite copriranno la lacuna. L’apparato integrativo è, infatti, qui ridotto alla sola presentazione dei due programmi da parte dello stesso Benigni che, con tenerezza e trasporto, offre un ricordo partecipe dei tempi che furono senza aggiungere molto altro. Soprattutto, senza quel supporto critico che sarebbe stato più adeguato al recupero storico, peraltro di un materiale così peculiare.

Certo, vedere i due Benigni a distanza così ravvicinata, il contadino punk senza freni inibitori accanto all’ecumenico interprete della Divina Commedia e dell’inno di Mameli, ha un effetto parecchio straniante.

 

Alessio Bosco
Alessio Bosco
Alessio Bosco - Suona, studia storia dell'arte, scrive di musica e cinema.

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