Cg Entertainment pubblica un’edizione speciale de “La Vita è Bella“, quello che Roberto Benigni stesso considerava e probabilmente considera il suo capolavoro, indipendentemente dal successo internazionale ottenuto.
Il Blu Ray celebrava il ventennale del film a fine 2017, lo scorso 18 dicembre, giorno d’uscita nelle sale italiane.
Distribuito successivamente negli Stati Uniti dalla Miramax di Harvey e Bob Weinstein in una versione scorciata di nove minuti, “La Vita è bella” ottenne sette nomination agli Academy Awards del 1999 e 3 premi Oscar: Miglior film straniero, Miglior attore protagonista a Roberto Benigni e Miglior colonna sonora a Nicola Piovani.
Sempre lo stesso anno, Benigni conquista un premio Bafta come miglior attore protagonista vincendo su Michael Caine, Tom Hanks e Joseph Fiennes, mentre un anno prima il film ottiene il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes oltre a fare incetta di riconoscimenti al David Di Donatello.
La Vita è Bella, il Blu Ray CG – video unboxing a cura della redazione di indie-eye
*Prodotto omaggio stampa inviato dall’etichetta
Il Blu Ray CG documenta il fervore di quegli anni, raccogliendo in sequenza tutti i momenti topici delle singole premiazioni nella sezione extra del disco, da Vittorio Gassmann che imita Benigni prendendolo in braccio, passando per la frase che fa esplodere la platea dei premi BAFTA in Inghilterra, dove l’attore e regista toscano dichiara: “My First prize in England and i am full of joy like a watermelon“, fino alla genuflessione di Benigni ai piedi di Martin Scorsese, l’abbraccio con Harvey Weinstein e il noto scambio di energie positive con Sofia Loren.
Oltre ad una vecchia intervista realizzata per l’edizione standard del DVD ormai fuori catalogo e un making of prodotto dalla Melampo Cinematografica di Benigni/Braschi e girato durante la lavorazione del film, il piatto forte del comparto extra è una nuova e lunga intervista a Benigni, curata da Jacopo Sgroi e Andrea Camerini assolutamente illuminante per comprendere lo spirito con cui Benigni ha realizzato il film e utile per sfatare alcune approssimazioni retoriche che hanno accompagnato le interpretazioni critiche più frettolose.
Dietro le domande puntuali di Sgroi, Benigni ci svela molti dettagli: oltre alla chiusura dei diari di Lev Trockij, ad ispirare un titolo così apparentemente in contrasto con la gravità del tema trattato, quello delle leggi razziali in Italia e dei campi di concentramento nazisti, viene rivelata un’ispirazione diretta da “Se questo è un uomo” di Primo Levi.
Senza anticipare i contenuti più belli di questa conversazione generosa e rivelatrice, durante l’intervista si parla del contrasto tra commedia e tragedia, antipodi di una modalità drammaturgica inscindibile per Benigni, quindi due stati dell’essere e dell’esistenza senza soluzione di continuità.
La purezza verbale e meccanica della gag che caratterizza i film delle precedente trilogia del regista toscano, trova il massimo compimento ne “La vita è bella”, grazie ad uno sguardo anti-retorico sulle stesse origini della tragedia, c’è quindi spazio per una riflessione sulla scrittura di Dante e su quella di Chaplin, in quel flusso dialettico che mantiene sempre un germe vitalissimo di improvvisazione anche nel Benigni “parlato” delle interviste.
Si parla di Chaplin quindi, più polemicamente ma con molto garbo di Godard e delle sue consuete provocazioni al vetriolo, delle vicende che hanno portato a scegliere Giorgio Cantarini e del significato di quelle ciliegie che nel film decorano il maglione dell’allora attore-bambino, altro segno di quanto il gioco, sui set dei film di Benigni, sia luogo del continuo transito tra realtà e rappresentazione, punto di vista e aderenza alla vita, in tutte le sue manifestazioni.
Tra i numerosi chiarimenti interpretativi, si fa luce sull’equivoco che avrebbe individuato Auschwitz come ambientazione principale del film.
In realtà Benigni ha evitato quell’identificazione sin dalla fase di scrittura condivisa con Vincenzo Cerami. Quel campo di concentramento non è auschwitz, ma un luogo concretamente più astratto. La stessa liberazione ad opera dell’esercito americano viene scelta non certo per strizzare l’occhio ad un certo tipo di pubblico, quanto per allontanare qualsiasi accostamento filologico con la storia del noto campo di concentramento della Polonia Orientale.
A conclusione, un racconto davvero commuovente, proprio per la sua collocazione al limite tra tragedia, affabulazione e vita, che riguarda il padre di Roberto, Luigi Benigni e il suo ritorno a casa dopo la prigionia a Erfurt.
Nella storia di quel “morto vivente” che ritorna da un paese lontano, emaciato e irriconoscibile, poco prima di un coma improvviso e nell’insistenza di Roberto e delle sorelle bambine che chiedono al babbo “Ridicci la storia di quando eri morto”, c’è quell’incontro con la meraviglia dello sguardo anche quando il trauma della morte e dell’orrore è, heideggerianamente, imminenza sovrastante.
La discesa nell’ade e resurrezione di Luigi Benigni offre un senso nuovo e non riconciliato a “La vita è bella” attraverso il racconto del figlio, quasi fosse quello di Giosuè in una dimensione improvvisamente attuale, mentre ricorda il gioco e la morte di Guido Orefice, come movimenti che dalla commedia, transitano improvvisamente nella dimensione del mistero.