venerdì, Novembre 22, 2024

Ladybird, Ladybird di Ken Loach (Dvd Rarovideo, 2012)

"Ladybird, Ladybird"; il film diretto da Loach nel '94 stavolta esclude la città dalla rappresentazione, lo scontro politico si svolge altrove, é fisico e psicologico insieme, é tra l’individuo in lotta per affermare la sua autodeterminazione e l’istituzione che la nega con bieca violenza

 

Titolo: Ladybird, Ladybird
Titolo originale: Ladybird, Ladybird
Regia: Ken Loach
Interpreti: Crissy Rock, Vladimir Vega, Sandie Lavelle, Mauricio Venegas
Origine: Gran Bretagna, 1994
Durata: 98
Produttore: Rarovideo
Distributore: Minerva Pictures | Regione: 2 | Formato: 1,66:1 Anamorfico | Audio: 2.0 Stereo Dolby Digital: Italiano Inglese | Sottotitoli: Italiano | Extra: Booklet | Introduzione video di Cristina Piccino

 

Triste Inghilterra!” esclamava Luigi Paini ne Il Sole-24 Ore a commento dell’inverosimile e purtroppo vera storia di Ladybird, Ladybird.

Sarebbe più appropriato, però, esclamare “Tristi tropici!” per questa storia di violenza delle istituzioni, malinteso concetto di welfare, sopraffazione e impotenza. Quello che accade a Maggie, privata dei figli con metodi a dir poco brutali dai servizi sociali perché ritenuta inaffidabile, toglie al Regno Unito il primato del suo splendido isolamento e lo rende molto simile a tutti i paesi del mondo industrialmente avanzato.

Merito (o colpa) di Loach  e delle parole di uno script spesso urlato, estremo, come estremo è tutto ciò che pretende di opporsi alle leggi di natura:

Come si fa togliere ad una madre i propri figli? Come fa l’uomo a non riconoscere l’amore di una madre e giudicarla non degna di allevare i suoi figli? Forse qualche volta ci sono condizioni estreme che lo impongono,ma credo che si facciano anche tanti gravissimi errori che rovinano per sempre la vita delle persone, credo che ci sia un retaggio di crudeltà da Inquisizione spesso in quelle fredde e spesso immotivate decisioni prese da burocrati seduti sui loro scranni a smaltire un caso dietro l’altro per finire il lavoro e andare a casa dai propri figli…magari…

Ladybird,ladybird, una filastrocca infantile dolce/amara dà il titolo da cui si snoda la tragedia antica e contemporanea di una donna e dei figli strappati al suo amore.

 Fly away home, / Your house is on fire, / Your children have gone, / All but one and her name is Anne, / And she crept under the frying pan.

Il fuoco nella casa di Maggie, i quattro bambini soli perché lei quell’unica volta é andata a cantare nel pub, i padri, quattro, inesistenti. Entrano in scena i servizi sociali di uno Stato sollecito alla tutela dei minori, costi quel che costi. Dopo Riff Raff e Piovono pietre, Loach chiude la trilogia sui dannati della terra abbandonando l’impianto corale per stringere il focus intorno ad un personaggio, Maggie, che Crissy Rock porta in scena con impressionante forza iconica, guadagnando sul campo il premio come miglior attrice alla Berlinale ’94.

Attrice alla sua prima prova, scoperta nei pub dell’hinterland londinese dove recitava come comica, Crissy Rock incarna in pieno la teoria-Loach: “Elaborare la parte non intellettualmente ma in termini di esperienza… La cosa importante nel fare un film é quel momento in cui gli occhi rivelano ciò che accade dietro, il momento in cui l’attore lotta per essere articolato…”.

Annullata del tutto quella sottile vis comica che nei primi due film dava a tratti respiro all’amaro realismo dell’azione, il tono si é fatto più duro, la mdp é come catturata dal vortice infernale in cui precipita la storia di Maggie, in parte affidata ai flash back e in parte ad uno scorrimento diegetico senza respiro, in un’intensificazione percettiva che avvolge sempre più lo spettatore intorno a questa figura di donna, figura capace di  fondere in unicità sorprendente antitesi inconciliabili, creando empatia totale col pubblico.

Maggie è fragile e forte, allegra e disperata, spigolosa e dolce, di superficialità indisponente ma determinata fino in fondo quando sono in gioco le radici che la legano alla vita. Queste radici sono i suoi figli, quattro, da padri diversi. Altri due li avrà da Jorge (Vladimir Vega), uomo mite e solare, alle spalle un paese, il Paraguay, che ha lasciato per ragioni politiche, un presente da immigrato clandestino che non smette di credere ad una superstite giustizia sociale.

Jorge è l’uomo che può riconciliare Maggie con la vita di cui ha provato solo la violenza.

Come sempre Loach procede per ellissi, il racconto a focalizzazione interna non richiede che minimi cenni sull’extra-testo, l’essenziale si rivela nelle tracce che ha lasciato, ma l’orizzonte evenemenziale è ristretto a loro due, Maggie e Jorge, chiusi negli spazi angusti in cui si muovono braccati dalle leggi dello Stato.

Quello che spinge Maggie a mettere al mondo figli é impulso naturale allo stato puro, anteriore a qualsiasi considerazione di opportunità e razionale valutazione delle condizioni di fattibilità. E’ un diritto alla vita che s’impone al di là di ogni ragionevole dubbio, una rivalsa contro un’infanzia violata da botte e stupro, una maturità segnata da rapporti fallimentari a cui si è abbandonata ogni volta fiduciosa, un’affermazione della sua esistenza biologica e della sua dignità affettiva. In nome di tutto questo Maggie si muove caparbia, con la sua piccola carovana di figli al seguito, fino all’irreparabile, fino allo scontro con l’ottusa neutralità della legge e allo scacco.

Loach stavolta esclude la città dalla rappresentazione, lo scontro politico si svolge altrove, é fisico e psicologico insieme, é tra l’individuo in lotta per affermare la sua autodeterminazione e l’istituzione che la nega con bieca violenza. E’ la lotta dell’uomo in quel territorio di leggi non scritte molto più forti di quelle imposte dalla città. Eroina di stampo tragico, Maggie ha la stessa statuaria severità di un’Antigone o di una Medea e la frenetica spinta ribelle di Elettra.  Al pari di loro ama di un amore che non può avere cittadinanza nella piccola polis di piccoli uomini mascherati da padri stupratori, amanti violenti, poliziotti e assistenti sociali. Pertanto è destinata a soccombere, come loro.

Resta la grandezza tragica e la loro inestinguibile solitudine.

E la filastrocca canta ancora:

Ladybug, ladybug, / Fly away, do, / Fly to the mountain, / And feed upon the dew, / Feed upon the dew / And sleep on a rug, / And then run away / Like a good little bug.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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