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Le avventure di un uomo invisibile di John Carpenter

Non le avventure dell’uomo invisibile ma le avventure di un uomo invisibile. Non si parla di un eroe, ma di un uomo comune, senza qualità, già invisibile nella sua vita anonima prima ancora dell’effettivo cambiamento molecolare del proprio corpo. Nick Halloway (Chevy Chase) è un agente di cambio, privo di legami affettivi, di interessi sociali, con la testa immersa unicamente nel business. Non si fa mancare nessun comfort però: lussuose suite, drink di prima scelta e fugaci avventure di materasso con le bellone che gli capitano a tiro. In una serata che già si preannuncia solitaria, fa la conoscenza di Alice (Daryl Hannah): è colpo di fulmine per entrambi. Ma proprio quando Nick crede di aver fatto centro, la donna gli fa capire di non essere esattamente una tipa da mordi e fuggi. Nick passa il resto della notte a sbronzarsi per riprendersi dal colpo. Il giorno seguente, ancora in preda ai fumi dell’alcol, si reca a una importante conferenza che, annoiato e assonnato, presto abbandona per andare a fare un sonnellino nella sauna del piano superiore. Intanto, nel laboratorio di ricerca lì accanto si verifica un incidente: l’intera area viene immediatamente evacuata, mentre l’edificio in cui Nick sta sonnecchiando viene progressivamente inghiottito dal nulla. Non ci vorrà molto a Nick, le cui molecole corporee sono irreversibilmente diventate trasparenti, per diventare la preda più ambita del sinistro agente segreto Jenkins (Sam Neill) che lo vuole sfruttare per i suoi loschi piani.

Tra le figure di primo piano all’interno di quella corrente che, dalla fine degli anni ’70 e per tutti gli anni ’80, si prestava a rivitalizzare e rielaborare con spiccata disinvoltura postmoderna i codici dei generi, dalla sci-fi all’horror passando per l’adventure (Landis, Dante, Spielberg solo per fare alcuni nomi), John Carpenter ha dimostrato, nel corso della sua carriera, una dote indiscutibile: la capacità di garantire standard sempre al di sopra della media, sia che trattasse di un’opera di cui aveva piena paternità sia che fosse un progetto su commissione, com’è appunto Le avventure di un uomo invisibile. Merito del suo spirito artigianale, del suo metodo pragmatico, della sua meticolosa attenzione per quell’imprescindibile aspetto tecnico che ogni spettatore richiede a un film. Pur trattandosi, in questo caso, di un copione scontato (tratto dal libro omonimo di H.F. Saint), Carpenter riesce a stemperare la prevedibilità della storia da un lato profondendo quella sua tipica mistura di tensione e (black)humor, dall’altro deviando le traiettorie della commedia convenzionale in quelle della farsa (oltre a saper dosare con cura il tasso glicemico della love story dei due protagonisti).

La sua vena anarcoide compare in modo molto velato; spicca invece, in modo più evidente, la sua nota avversione per i rappresentanti della legge (molte volte i protagonisti carpenteriani sono degli antieroi fuorilegge o comunque ai limiti della legalità, mentre i villains spesso vestono la divisa od operano all’interno delle istituzioni governative) che trova forma nel viscido lessico e nella frenesia sovversiva di Sam Neill. Il disegno del protagonista ha i contorni netti; la dettagliata panoramica sulla sua mesta solitudine risulta convincente, grazie anche ai freni posti all’esuberanza deflagrante di Chevy Chase, al quale tuttavia vengono concessi troppi momenti di “visibilità” dopo il suo passaggio di stato: non si capisce bene se per capriccio della star o per motivi di semplificazione della fruizione al grande pubblico.

Le avventure di un uomo invisibile è uscito in un periodo in cui era in atto una rivoluzione epocale nella storia degli effetti speciali: nel ‘91 il pubblico mondiale aveva già visto rifulgere le metamorfosi liquide del proteiforme cyborg T1000 in Terminator 2: Judgment Day di James Cameron, mentre nel ‘93 sarà testimone della “resurrezione” in provetta dei dinosauri di Jurassic Park di Steven Spielberg. Sotto questo profilo bisogna dire che il film di Carpenter si difende bene, non solo per i prodigi tecnici messi in campo dalla Industrial Light & Magic di Lucas ma anche per il rapporto sinergetico che si instaura tra le innovative tecnologie e gli snodi narrativi. Trovate come la faccia di Chevy Chase che fluttua in giro per Market Street, la visione a occhio nudo della masticazione di una gomma americana e del fumo nei polmoni del protagonista, la sua riapparizione parziale attraverso fondotinta e rossetto sono state rese possibili da una combinazione di tecniche: in maggiore misura dalla CG e in minore dalla digital compositing, che proprio in quegli anni si stava affermando. Tra i contenuti extra del Dvd edito da Pulp video si può trovare un breve documentario che illustra i procedimenti seguiti dalla Industrial Light & Magic per la realizzazione degli effetti speciali del film: dalle composizioni su background plate alle “cyberscanerizzazioni” della faccia di Chevy Chase. Non mancano neppure gli inserti delle scene tagliate, tra cui un sogno in sala operatoria (con procaci infermiere e sadici chirurghi) e una sequenza alternativa del sopralluogo dei militari nel laboratorio dopo l’incidente, dai toni assai più inquietanti di quella poi inserita nel montaggio finale.

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