Capita di tanto in tanto di trovarsi di fronte a un grande film che, pur piccolo tra tutti gli altri, porta a stupirsi ancora una volta, a credere con più convinzione nel miracolo che è e può il cinema.
Libere disobbedienti innamorate dell’esordiente regista palestinese Maysaloun Hamoud è fuori da ogni dubbio uno di questi. Tanto meticoloso nella lavorazione, protrattasi per cinque anni, quanto immediato nella resa di forme e contenuti, scuote le coscienze, arriva forte e chiaro.
In origine “Bar Bahar”, ovvero “né qui né altrove” in lingua ebraica, “tra terra e mare” in arabo, tradotto nei paesi anglofoni con il significativo “In between”, il film riflette con coraggiosa leggerezza su una densità tematica che è già nel titolo.
In una Tel Aviv inaspettata, fuori dai canoni, vero e proprio melting pot nel cuore di Israele, sospesa tra le contraddizioni di emancipazione e tradizione, si muovono tre giovani coinquiline protagoniste di storie ordinarie: Leila, Salma e Noor, ognuna con la propria autentica tridimensionalità, ognuna con i propri demoni personali, tutte unite però da un desiderio di indipendenza che va oltre ogni idea precostituita, oltre ogni etichetta che si vorrebbe imposta loro dagli altri, laddove “altri” non indica categorie etniche o religiose sclerotizzate entro stereotipi, ma tutti coloro che, israeliani o palestinesi, cristiani o musulmani che siano, colpevoli di portare sulle spalle fardelli ideologici provenienti dal passato ma ancora drammaticamente presenti, ostacolano la più pura e vera delle libertà: quella di scegliere.
Di scegliere di divertirsi, innamorarsi, farsi male ma cadere sulle proprie gambe; di vivere in pienezza l’omosessualità; di studiare, desiderare un lavoro, scoprire che esiste un universo di sentimenti al di là di un “andare d’accordo” maschera di soprusi.
La Hamoud mette in scena spaccati di vita vissuta; rivolta da una parte al cinema occidentale (d’ispirazione per lei Almodóvar per quanto riguarda ritmo e figure femminili, Loach per ciò che concerne invece le implicazioni etiche), legata dall’altra alle proprie radici, ritrae una porzione di reale con la lucidità che solo uno sguardo liminare può garantire. “Nel mezzo” è dunque in primo luogo l’occhio della regista, come lo sono di conseguenza quelli delle donne rappresentate, sempre protese, metaforicamente e concretamente, verso un mare che purifica e, pure, sempre risospinge indietro, con forza e consapevolezze, però, nuove o rinnovate.
Libere disobbedienti innamorate ha la grinta e la freschezza necessarie per farsi portabandiera di chi quotidianamente lotta per autoaffermarsi; mantiene sempre, allo stesso tempo, un punto di vista che sia critico, a volte cinico quel tanto che basta per conservare una dose di disincanto che ancori al presente.
Essere coerenti con ciò che si è richiede sempre un prezzo da pagare, ma quando alla fine la libertà presenta il conto, le conquiste valgono più delle sofferte perdite, alleviate, per quanto possibile, da un’ umanissima solidarietà che guarda al futuro.
Questi ed altri sono i temi affrontati da Maysaloun Hamoud e dall’attrice Mouna Hawa (Leila) nelle interviste incluse insieme al trailer negli Extra del DVD distribuito per conto di CG Entertainment. Uscito nelle sale in primavera grazie alla friulana Tucker Film, Libere disobbedienti innamorate approda ora infatti sul mercato Home Video.
A detta della regista la scrittura della sceneggiatura prese avvio quasi per caso, nutrendosi poi della ventata di speranza alimentata dalla primavera araba del 2011, un “segno” che valesse la pena di continuare a investire nel progetto, che fosse quella la direzione da seguire: sbattere in faccia i tabù, dare voce a una generazione intera ben poco dissimile da quelle che abitano le città occidentali, a donne diverse dallo stereotipo della donna araba, eppure tangibili, autenticamente arabe anch’esse.
La parte più complessa della lavorazione è risultata essere il casting. In un cinema palestinese ancora giovane e monolitico non è facile trovare attori che rompano le fila di una recitazione impostata; dunque la scelta di includere professionisti e non, alcuni con alle spalle vite probabilmente affini, almeno negli ideali, a quelle dei personaggi interpretati, per una resa che ne guadagna in spontaneità.
E’ uno l’interrogativo che viene messo di fronte ad entrambe, Hamoud e Hawa: fanno paura le minacce degli integralisti? La risposta è unica e univoca: nessuna paura, il film è una sfida, questo è il modo in cui vivono il cinema.