martedì, Novembre 5, 2024

Lo Sceicco Bianco di Federico Fellini: Il DVD

Lo sceicco Bianco fa parte delle rstampe curate da Mustang Entertainment, nuovo marchio consociato con CG Home video che recupera capolavori del passato e DVD ancora inediti per il mercato italiano. Lo Sceicco Bianco, insieme a I Vitelloni, Giulietta degli spiriti e La Dolce Vita fa parte di una serie di ristampe dedicate a Federico Fellini, contenenti i capolavori del maestro in versione restaurata e con un ottimo corredo dal punto di vista degli Extra 

Allegato al DVD dello Sceicco Bianco un libretto con testi di Maurizio Porro e Mario Sesti che si sofferma sulla storia del restauro, elencando le pellicole che sono state scelte per l’intervento di recupero e fornendo un utile glossario di termini tecnici. Il documentario The magic of Fellini chiude gli extra con ampia scelta di filmati e interviste tratte da backstage e cinegiornali d’epoca.

Lo Sceicco Bianco è il battesimo di Fellini regista. Dopo anni a scriver sceneggiature e una collaborazione  con Lattuada per Luci del varietà, questo è il primo film interamente “suo”. Lo racconta lui stesso, con quel tono svagato tra divertito e ironico che ha, quando parla di sé, nel ricco documentario The magic of Fellini  degli extra al DVD.

Erano gli anni d’oro del cinema italiano, circolavano soggetti che si rimpallavano dall’uno all’altro, Antonioni e Fellini erano giovani alle prime armi, e se il primo rifiutò il secondo accettò di girare il film con lo stupore di chi si trova, chissà come e perché, a far qualcosa che mai avrebbe pensato prima, il regista.
Eppure c’è già tutto lui in questo film che incassò solo 41 milioni, girò in sordina in poche sale, regalò a Sordi una incomprensibile, pessima fama, per fortuna ben presto smentita dal Nastro d’argento de I Vitelloni.
Ma a volte l’insuccesso, si sa, è sintomo di valore, e vedere oggi, dopo il restauro, un film già così “felliniano” in tutto il suo smagliante splendore, è una tardiva ma doverosa compensazione a più di mezzo secolo di latitanza.
Nonostante il titolo esotico, Lo sceicco bianco è una storia tutta romana, col cupolone che chiude lo sfondo, il colonnato del Bernini che abbraccia i pellegrini, figurine nere che corrono in fila all’udienza papale, e il finale agrodolce che ricompone il mondo senza drammi, la vita continua e i sogni via nel cassetto.

Wanda (Brunella Bovo) e Ivan (Leopoldo Trieste) entrano subito in scena con l’arrivo del treno sferragliante a Termini. Sono in viaggio di nozze e il calesse li deposita all’ hotel due stelle, o forse meno, in pieno centro, prenotato per due notti. Ivan ha un programma molto intenso: parenti di prestigio da incontrare, udienza papale in loro compagnia e tour “dinamico” dei monumenti. Quindi ritorno a casa. Il tutto scandito da tempi ferrei.
Leopoldo Trieste crea con Ivan un personaggio felliniano a tutto tondo.
Nella tripartizione che s’individua nello schema del film è lui a dominare la prima e la terza parte, mentre quella centrale è appannaggio completo della Bovo e di Sordi, entrambi agli esordi dopo apprendistato di poco conto e anch’essi molto fellinianamente caratterizzati. Wanda è la classica “donna-angelo” di tempi molto prosaici, il secondo dopoguerra, quando il fotoromanzo era l’unico approdo dei sogni di masse femminili piccolo borghesi, un mondo di evasioni esotiche ed eroi di carta con cui sognare amori impossibili e fughe su vascelli alati.

Tutta la settimana aspetto soltanto il sabato che mi porti il mio giornaletto, vado a prenderlo alla stazione, poi corro a casa, mi chiudo nella mia stanzetta e lì incomincia la mia vera vita: leggo tutta la notte“.

Quell’aria timida e sognante, mentre il marito inanella orari e date con piglio da caporale di giornata, nasconde però un proposito ferreo: incontrare lo Sceicco Bianco nella redazione di Roma sita in via tal dei tali.
Gli ha scritto tre volte, in passato, e lui le ha risposto: “Se verrai a Roma passeremo ore indimenticabili”.

Comincia così l’avventura della timida Wanda in momentanea fuga dall’hotel, mentre il marito fa la siesta e l’acqua bollente continua a scorrere nella vasca, fra nuvole di vapore ed esiti facilmente immaginabili. Sarà cosi che il bagno, prenotato per lire duecento, pretesto galeotto della romantica evasione, avrà ben presto l’effetto boomerang di prammatica. Ma prima che tutto si scopra Wanda si ritrova sulla spiaggia di Fregene con la troupe che gira una puntata dello Sceicco bianco. E’ lì che lui le apparirà nel suo fiabesco splendore, dondolante su un’altalena che sembra pendere, altissima, nel vuoto. La ripresa dal basso accentua la vertigine, da lì si scende al volo o rompendosi l’osso del collo. Il bianco fantasma scende al volo e il sogno di Wanda decolla, mentre tutt’intorno si prepara per la sprovveduta e felice fanciulla un brusco ritorno su questa terra, moglie dello sceicco compresa.

La vera vita è quella del sogno“, le aveva detto nella redazione del giornale Marilena Alba Vellardi (Fanny Marchiò), una delle autrici della fotonovella, spingendola con aria complice all’avventura. E’ stato l’incipit della seconda parte, quella del sogno e del suo doppio. Wanda e lo Sceicco s’imbarcano sulla vela ormeggiata in spiaggia, la traversata non durerà molto per la maldestra capocciata dello Sceicco contro il boma, e il ritorno a terra non sarà esattamente all’altezza della favola. Momento centrale del film, sfilano i personaggi del primo dei “circhi” felliniani, mentre si respira l’aria inconfondibile della migliore commedia all’italiana. Ma definire Fellini è impossibile. La sua collocazione più vera è in quella terra di nessuno che sta fra la realtà e il sogno, lì dove la favola prende il sopravvento e si fonde con stralci di memoria, la realtà si mescola alla finzione, le maschere sono reali e gli uomini diventano maschere. In questa sezione del film Sordi domina la scena con il suo repertorio mimico celebre, mentre la voce di basso recita, profonda, le parole ammaliatrici: “Quando vado in barca mi succede la stessa cosa: una strana, amara felicità si impadronisce di tutto il mio essere… Oooooh, er gabbiano…er gabbiano…caro gabbiano…una felicità che proviene dal ricordo di una vita posteriore…anteriore… Posteriore o anteriore? Anteriore…quando chissà chi eravamo noi due… Forse io un pirata e me sa che tu una sirena...”.

Sta nascendo il suo personaggio di sempre, un po’ gaglioffo e un po’ spaccone, disincantata fotografia dell’italiano medio, portatore di una vitalità inesausta e di una vis comica insuperata. La sua parte, ristretta alla sequenza centrale, brilla per intensità e polarizza intorno a sé tutto il film, che gioca sicuro sul perfetto equilibrio delle tre parti. Il ritmo travolgente delle comiche s’impone ora nel finale, con Ivan che, tra disperato e furioso, con gli orari che non riesce più a far quadrare e il drappello dei parenti che preme, corre spiritato alla ricerca della fuggitiva.

Gli occhi più a spillo che mai, il mento che trema e l’impermeabile bianco che lo fa somigliare ad uno spaventapasseri (dal bianco costume dello sceicco al bianco impermeabile di Ivan lo scarto è notevole) viene travolto da fanfare di bersaglieri sotto il Quirinale e drappelli di poliziotti in manovra nel cortile del commissariato, suda spaurito di fronte all’inquietante interrogatorio del commissario e finisce per accasciarsi in lacrime sul bordo del fontanone di una piazza romana. Siamo al magico notturno capitolino da cui spunta Cabiria. E’ la Masina, in un cameo scintillante, mangiatore di fuoco compreso, con l’amica prostituta che consola come può il derelitto.

E’ uno scorrere caleidoscopico di scene quello a cui si assiste ora, mentre il racconto cinematografico diventa vertigine, festa dello sguardo, suspense e, infine, scioglimento. Dove? Ma a San Pietro, naturalmente, in quella morbida placenta che tutto avvolge in un caldo abbraccio. Un angelo di pietra, bruno nel controluce, guarda indifferente dall’alto la piazza gremita di formichine indaffarate. E’ il tocco finale di un regista che nasce già Maestro, e con Tullio Pinelli ed Ennio Flaiano alla sceneggiatura, Arturo Gallea alla fotografia e Nino Rota alla prima delle tante collaborazioni musicali, dà alla storia quell’aria un po’ seria e un po’ stralunata, amara e divertita, incardinata nel reale e in fuga nel fantastico che ritroveremo, in infinite declinazioni, in tutto il suo cinema successivo.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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