Lola, nonna in Filippino; uno dei film più intimi e radicali di Brillante Mendoza girato tra Manila, Malabon e le isole Luzon è un documento che osserva le città dell’arcipelago con una forza narrativa rarissima, quella che è capace di seguire la vita degli individui e di perdersi nel flusso della durata. Anita Linda, veterana del cinema Filippino, mette in gioco la sua esperienza e i suoi anni con una generosità senza limiti, un ladro di cellulari le ha ucciso il nipote e tutto quello che può fare è racimolare i soldi per pagare il funerale. Il suo percorso si incrocia con quello di Puring, nonna del giovane assassino, preoccupata di pagare la cauzione per farlo uscire di prigione. Brillante Mendoza le segue da vicino in mezzo al mercato, sulle imbarcazioni, in mezzo alle loro famiglie, nel percorso di sopravvivenza quotidiana, nella furia della pioggia filmata con una forza molto simile alla potenza fluviale di Melancholia, il film di Lav Diaz presentato a Venezia 65. Il lavoro sul suono è straordinariamente primordiale, attento a cogliere la profondità dei piani così da renderlo il più possibile aderente all’evento, cattura voci e rumori confondendoli; basta pensare a tutti i momenti in cui Puring si fruga in tasca per controllare quanti soldi ha racimolato, come Diaz Mendoza non corregge i “difetti” del suono e li rende presenti, vicini, percepibili. E’ un “occhio” sonoro che si appiccica all’uso estremo del piano sequenza che Mendoza persegue con partecipazione fisica; nell’arco di un lungo movimento ci sorprende, sposta la camera come in un documento, sfrutta panoramiche veloci e nervose non per creare un effetto o un “taglio” quanto per farsi occhio presente, senza paura di tornare indietro per registrare quello che accade fuori campo. Dopo le scelte estreme di Serbis e Kinatay Mendoza realizza uno dei film più belli, sofferenti e intimamente crudeli della sua filmografia.