martedì, Dicembre 24, 2024

Peppermint – L’angelo della Vendetta di Pierre Morel: recensione

Peppermint di Pierre Morel, la sinossi del film con Jennifer Garner

[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”#fc9d0d” class=”” size=””]Riley North, una moglie felice ed una madre modello, assiste impotente all’omicidio del marito e della figlia per mano di alcuni narcotrafficanti. Gli autori del brutale omicidio vengono catturati ma durante il processo, nonostante la sua testimonianza, le accuse vengono fatte cadere e gli assassini liberati grazie all’intervento di un giudice corrotto e di avvocati e poliziotti collusi. Quando Riley decide di vendicarsi, il suo obiettivo non saranno soltanto i carnefici della sua famiglia ma tutto il sistema, dalla giustizia americana ai potenti cartelli della droga.[/perfectpullquote]

Peppermint di Pierre Morel, la recensione del film

La memoria corporea di Jennifer Garner ha un’incredibile persistenza. Non è una nostra considerazione, ma sono parole di Pierre Morel in riferimento ai trascorsi con la danza dell’attrice statunitense e alle sue capacità di adattamento durante gli allenamenti necessari per l’esperienza sul set di Peppermint. La parola è ridotta a zero nella sceneggiatura di Chad St. John, non la grammatica, rigorosissima e condivisa con Frédéric Thoraval, straordinario montatore di Banlieue 13, From Paris With Love, Taken e The Gunman, per limitarsi alle collaborazioni con il regista francese. La prima, violentissima sequenza dentro l’abitacolo di una macchina, imposta il tono non solo per il modo in cui disattende alcune convenzioni, ma per l’inclusione in un contesto architettonico urbano che mantiene stretta relazione con i corpi. Quasi fosse un rovesciamento dello spazio organizzato in The Gunman, l’area privata in cui si chiudeva il precedente film di Morel come fortino sottoposto a continui sabotaggi, viene abbandonata dalla famiglia nucleare che si stringe intorno alla piccola Carly (Cailey Fleming), per esporsi alla minaccia di una città in stato d’assedio. In questo senso Morel acquisisce solo in parte la lezione di Luc Besson, produttore e sceneggiatore dei suoi primi tre lungometraggi, sull’espansione dello spazio famigliare come campo di battaglia, perché è maggiormente interessato ad evidenziare la realtà urbana come organismo spaccato in due, anche architettonicamente, dove il nucleo originario ormai smembrato (un padre/marito, una coppia che scopa tra le pallottole, una madre in cerca di giustizia) subisce un cambiamento radicale nella relazione apolide e mai riconciliata con un ambiente irriconoscibile.
Per quanto l’attacco degli uomini legati al cartello messicano della droga, possa sembrare sin troppo vicino alla percezione di quella paura indotta dal potere politico, è proprio su questa logica apparentemente binaria che Morel disinnesca la dimensione della vendetta, intesa come veicolo principe della reazione, per costruire un percorso di trasformazione comportamentista. Il progetto naufragato di “The Clan of the Cave Bear”, tratto dall’epica seminale di Jean M. Auel, rivede in un certo senso la luce attraverso il personaggio di Riley.

Senza la stratificazione di Law Abiding Citizen di F. Gary Gray, il contrasto tra l’aberrazione della civiltà giuridica e il diritto costituzionale, guida la mutazione corporea di Riley North (la Garner) verso quella fenditura che si lascia alle spalle il corpo naturale per come viene codificato dalla parola, per imboccare un destino organico che smonta e rimonta la propria origine. 

Più della vendetta e della struttura causale del revenge movie, rifiutato dallo stesso Morel come possibilità, Peppermint rivela un processo di sconnessione radicale, mediante il percorso di formazione di un corpo eccedente, che adotta il metodo della guerriglia non per mimetizzarsi nel sistema, ma per disinnescarlo, sputarlo fuori e poi abbandonarlo definitivamente.
Il rifiuto ad affrontare qualsiasi assimilazione, viene evidenziato dall’ambiente in cui Riley vive all’interno del furgone dove nasconde tutto il suo arsenale.

Dagli interni famigliari al distretto della downtown losangelina noto come Skid Row, confusa tra le migliaia di homeless che occupano Central City East, la donna è un soggetto che abita un limine alieno, sia in termini empirici, ma anche sistematizzando la distanza totale dal ruolo ritagliato nella precedente vita. Come un fantasma e senza identità apparente emerge dalla collettività mediale attraverso alcuni footage amatoriali, filmata mentre affronta incontri di lotta in stile libero, allenando il corpo a diventare “soggetto” autonomo, espulso. 

La memoria di Riley ha un funzionamento altrettanto organico e connette la separazione di questi due mondi come sovrimpressioni su supporto analogico. Le intenzioni di Morel in questo senso, erano quelle di elaborare alcuni jump-cuts e accelerazioni violente nello spazio-tempo servendosi di una vecchia cinepresa 35mm a manovella, come quelle utilizzate per il cinema delle origini. Viene quindi elaborata un’immagine del transito esponendo avanti e indietro e creando organicamente una serie di sovrapposizioni, senza ricorrere al regime falsificante della memoria prostetica legata alla post-produzione digitale. Tutti i momenti in cui Riley è assalita da un ricordo, sovrappone veloci flash che provengono dal passato, oppure penetra velocemente nel futuro, come nella sequenza in cui la troviamo già in mezzo ai senza tetto della downtown poco dopo la strage famigliare, sono stati filmati su pellicola e con un’esposizione multipla del supporto.

Il risultato è quello di una fluttuazione casuale del movimento, transizioni “in-camera” e un livello improvvisativo totale per quanto riguarda le aspettative. 
Scelta organica che occupa una posizione di passaggio tra la volatilità di Riley come soggetto ai margini rispetto al sistema sociale e la determinatezza di un corpo che attraverso la dinamica della caccia, plasma lo spazio dell’azione e quello della visione.

Come Jennifer Garner per Morel, anche quello di Riley è un corpo che ricorda, cambia la natura delle cose e il destino di una narrazione.

Peppermint di Pierre Morel, il Blu Ray Koch Media / Lucky Red

Koch Media pubblica la versione Blu Ray del film di Pierre Morel distribuito da Lucky Red, con un master Audio DTS-HD 5.1 in Italiano e Inglese, con sottotitoli in Italiano e in Italiano per non udenti

Il video è 1080p 2:35:1 16/9.

La sezione extra contiene il trailer del film e una featurette. 

Quest’ultima è confezionata come una breve intervista a Jennifer Garner e Pierre Morel, mentre raccontano il personaggio di Riley.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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