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Piovono Pietre di Ken Loach (Dvd Rarovideo, 2012)

La recensione di Piovono Pietre di Ken Loach

Titolo: Piovono pietre
Titolo originale: Raining Stones
Regia: Ken Loach
Interpreti: Bruce Jones, Julie Brown, Ricky Tomlinson, Tom Hickey
Origine: Gran Bretagna, 1993
Durata: 87′
Produttore: Rarovideo
Distributore: Rarovideo | Regione: 2 | Formato: 1.77:1 (16:9 anamorfico) | Audio: Italiano, Inglese Dolby Digital 2.0 | Sottotitoli: Italiano | Extra: Introduzione video di Mario Sesti

Premio della Giuria a Cannes 1993, Raining Stones parla di pietre, appunto, quelle che, come dice un vecchio adagio della grande saggezza popolare, piovono ogni giorno sulla testa dei poveri. Anni ’90 nel Regno Unito, quindici anni di thatcherismo e il paese é in ginocchio; il liberismo selvaggio ha reso ancora più vulnerabili le classi deboli, mandato alla deriva destini individuali, fatto toccare quota zero alla credibilità delle istituzioni. E’ rimasta la monarchia, ma quando non c’é altro anche le favole servono.
Voce alla povera gente e alla sua lotta per la sopravvivenza Loach l’aveva data con Riff Raff, tre anni prima, evitando già allora toni didascalici o declamatori. Quello che incanta in questo cinema, da sempre così ancorato al reale, é la capacità di essere così totalmente realistico da cogliere quel tanto che di fantastico, paradossale, e a volte addirittura comico nella sventura, ogni realtà possiede.
Non é un caso che, ancora all’indomani dell’ultimo premio a Cannes per The Angels’share, il regista abbia dichiarato: “L’elemento comico é uscito spontaneamente, proprio come accade nella vita, d’altra parte tutte le storie reali offrono spunti di comicità.”

In Raining Stones la carta vincente é l’incontro con Jim Allen, già suo collaboratore nel ’67 per un film sullo sciopero dei minatori di Liverpool. Nasce così una sceneggiatura brillante, costruita con rigore su uno spunto narrativo intenzionalmente esile. L’effetto di contrasto con lo sfondo é forte, la contestualizzazione straniante é perfetta. In sintesi la domanda é: riuscirà il nostro amico Bob a trovare i soldi per comprare l’abito della prima comunione alla piccola Coleen? E, soprattutto, riuscirà a tirarsi fuori dai guai dopo l’aggressione all’odioso usuraio?

Bruce Jones (Bob) e Ricky Tomlinson (Tommy) sono, in ordine, il protagonista e la sua spalla; non sono attori professionisti, sembrano vivere la propria vita vera muovendosi in una specie di caccia primitiva e quotidiana al lavoro negli spazi del deserto neo-liberista, lì dove sembra diventato normale catturare pecore da vendere a pezzi ai clienti del pub, sterrare il tappeto erboso del Country club dei conservatori per caricarlo sul camion e ricavarne qualche penny, disgorgare pozzi neri da cui uscire coperti di merda o fare il buttafuori in un rave club dove il meno che possa succedere é tornare a casa con un occhio nero; se poi ti rubano il furgone non puoi neanche denunciare il furto alla polizia perché non é assicurato, e senza il mezzo si lavora ancor meno.

Primi anni ’90 a Manchester, quartieri di periferia grigiastra, interni di povero decoro proletario, pub strapieni, la sera, a chiedere alla birra qualche idea per il giorno dopo; si vive di espedienti, si parla quasi solo di denaro, cifre miserabili, contate fino ai centesimi, come guadagnarli, cosa inventarsi, i bisogni sono primari e se i soldi non arrivano si fanno debiti, ma poiché “sulla classe operaia piovono pietre sette giorni alla settimana”, il debito può solo aumentare nelle mani dello strozzino malavitoso Tansey (Jonathan James), che riscatta dall’agenzia/prestiti i crediti insoluti; con la sua brava scorta di bulli trova poi modi molto sbrigativi per farsi risarcire dai debitori: li inchioda in un angolo con qualche pugno ben assestato o piomba in casa di massaie inermi con perquisizioni e intimidazioni.

Li chiamano loansharks (squali del prestito n.d.r.) – racconta Loach negli stralci di conversazione negli extra dell’edizione Rarovideo di Piovono Pietre – sono venuti fuori recentemente e costituiscono un vero flagello, sono molto violenti, ancora più di quanto appaiono nel film”.

Sul problema di fondo, che é la qualità della vita quando non si sa come mettere insieme il pranzo con la cena, l’elemento narrativo che si innesta potrebbe sembrare surreale, ma stiamo parlando di Ken Loach e si tratta di film-verità, anche nei suoi aspetti più inattesi: servono 110 sterline per l’abito da comunione di Coleen, Bob ne fa un punto d’onore, non conta che tutti, a partire da padre Barry, gli dicano che non c’é bisogno di comprarlo, ci sono i vestiti lasciati in dono alla chiesa da quelli “che hanno abiti nuovi tutti i giorni”.

A Manchester é radicata una forte comunità cattolica, Loach ha voluto girare lì qualcosa che avrebbe potuto filmare dovunque nel Regno Unito, ma serviva calarsi fino in fondo nella parte di questa fetta di umanità per cui la fede religiosa finisce per diventare una istanza politica; Bob non accetta che la figlia sia discriminata, nella sua visione di uomo semplice e ignorante esiste una rifondazione politica dei codici morali in cui il furtarello e l’aggressione a mano armata si ricollocano come giusta autodifesa. Non un giustiziere della notte post litteram, però, solo un diseredato per cui la chiesa é un rifugio nel deserto, se perfino padre Barry, prima di condannarlo a quattro pater, ave e gloria in confessione, gli dice: “Fregatene di Tansey, forse Dio avrà pietà della sua anima, non l’hai ucciso tu, é stato un incidente…c’é tanta gente in questo quartiere che riuscirà a dormire più tranquilla perché lui non c’é più. Stai lontano dalla polizia, vai a casa e prega per l’anima indegna di Tansey”.

Fedele al suo impegno politico e alla sua cifra stilistica, Loach mette in scena una condizione umana che ha tutte le tare indotte da pesanti ingiustizie sociali e sperequazioni di classe. Questa working class senza lavoro né prospettive non andrà mai in Paradiso, questi giovani senza speranze che spacciano droga e stazionano catatonici per strada ad ogni ora sono fertile terreno di coltura per deflagrazioni sociali facilmente prevedibili, i bambini che giocherellano sul pianerottolo di quei condomini hanno un futuro già tracciato, e “non basterà un’ave maria…”.

Commedia nera, dunque, se ci fermassimo a guardare solo sul fondo, lì dove ristagna la melma di una fogna che non basterebbe neanche il ritorno di Cristo dopo duemila anni a disgorgare, ma Loach non scrive una tragedia, non vira al noir, dove pure troverebbe giusta accoglienza (denaro, aggressione, tentato omicidio, colpa e fuga), resta ancorato al suo tono medio, che é poi quello della vita comune, dove la tragedia si stempera nei paradossi quotidiani, e se si parla dell’amico inviato a Lourdes con una colletta in seguito ad infortunio sul lavoro, ci scappa anche una barzelletta micidiale, una delle più forti mai sentite sull’argomento. Il realismo documentario non soffoca mai il principio narrativo, una regia fortemente autoriale costruisce l’azione con sensibilità raffinata, evita le secche dell’ideologismo e le pesantezze del politicamente forte, mantiene alta l’attenzione dello spettatore con abile modulazione di toni e miscelazione di ingredienti.

Raining Stones “possiede una certa grazia – afferma Loach – che penso sia quella che cogli quando incontri persone come Bob e sua moglie… Si tratta di persone che sono spinte verso il basso ma non affondano. La cosa importante rispetto a Bob é che non é finito e sta provando disperatamente a mantenere intatto il rispetto che ha di sé”.

Intorno a Bob ruotano comprimari molto convincenti: la moglie Anne (Julie Brown), energica e realista, abbastanza disperata anche lei ma piena di buon senso tutto femminile; la figlioletta Coleen (Gemma Phoenix), fiorellino in boccio in un prato polveroso, quel vestitino bianco sa indossarlo con grazia non vanitosa; l’amico Tommy, pacioccone e allegro combinaguai, sempre in vena di bisboccia e risate, ma rimane solo a piangere dopo che la figlia gli ha steso un po’ di denaro. C’é poi il parroco don Barry (Tom Hickey), una bella figura del genere “prete operaio”, di quelli che non hanno addosso odore d’incenso, e saprà ben consigliare il Bob disperato arrivato al livello di guardia. Ogni personaggio ha un ruolo focalizzato a dovere, anche se di tratta di brevissime apparizioni, pochi micidiali secondi, come quelli che inchiodano il politico laburista parolaio sulla porta.

Né dentro né fuori, e ogni compromesso diventa possibile.

Spuntano anche esemplari della high class in confortevoli villini immersi nel verde. Aprono diffidenti le porte solo a metà per rispondere di no a chi suona per chiedere lavoro; “La gente come te ha fame di giustizia e nel nome di Cristo, che é padre della vita, tu la meriti” dice a Bob padre Barry.

D’accordo, sembra dire Loach, ma nel frattempo Bob continuerà a firmare una volta al mese per il sussidio di disoccupazione all’ufficio di collocamento, e quando la polizia gli porterà a casa la notizia del  furgone ritrovato sarà meglio che partano i titoli di coda, eviteremo così di vedere che al nostro bravo Bob, di ritorno tutto azzimato dalla prima comunione di Coleen, toccherà pure pagare la multa per guida senza assicurazione.

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