Natalie Portman esordisce alla regia nel lungometraggio con A Tale of Love and Darkness, tratto da quella che è ormai una pietra miliare della letteratura israeliana: Una storia di amore e di tenebra, romanzo autobiografico di Amos Oz.
E’ un film sentito, a lungo covato e meditato, dalle velleità autoriali forse insoddisfatte, eppure mai puramente autoreferenziale; è rivelazione di grande sensibilità artistica, oltre che, prima di tutto, sincero atto d’amore nei confronti di una storia che per la Portman è la Storia: di un popolo, il suo, e delle proprie contraddizioni, di un dramma privato che si configura come universale.
Del romanzo conserva intatta la dichiarazione di fede verso il potere della narrazione; laddove si potrebbe scorgere vuota retorica occorre invece ricercare lo sguardo puro di una regista che, trovatasi a misurarsi con un colosso ineguagliabile, sceglie di tributarne il valore salvifico della parola, accostandosi alla materia del racconto, tagli compresi, nella maniera che le è più congeniale, giocandosi cioè la sua carta più preziosa: quella da interprete. Affiancata da un altrettanto ottimo cast, catalizza infatti sul suo personaggio la credibilità del film.
Il titolo scelto per la distribuzione italiana, Sognare è vivere, seppur discutibile, certamente suggerisce la più immediata delle chiavi di lettura: se “un sogno realizzato è sempre un sogno deludente” poiché “questa delusione è nella natura dei sogni”, ecco che essere vivi, per Fania, sorta di eroina romantica post litteram, madre innamorata e moglie amorevole, ma equilibrista sospesa tra slanci onirici e schiacciante confronto con le macerie del reale, “cresciuta in eterea bellezza”, quella dell’Est Europa, troppo fragile per non schiantarsi “contro la pietra dura di Gerusalemme”, equivale a vedere oltre il quotidiano con occhi memori di vissuto e mai vissuto, il fuoco interiore alimentato da storie udite e raccontate.
A cavallo della seconda guerra mondiale e dell’istituzione del nuovo stato di Israele, è proprio il piccolo Amos (Amir Tessler) a farsi scrigno della Parola, quella della madre così come quella del padre (Gilad Kahana), letterato dal gusto per l’etimologia. Dello stesso Amos è la voce narrante di primo livello della vicenda; il suo sguardo bambino ricalca sempre, però, quello di Fania, adorata e biasimata, eternamente viva nella dolcezza dei ricordi ma prepotentemente ingombrante, empaticamente compresa, forse mai del tutto: il finale che suo figlio avrebbe scritto per lei sarebbe stato diverso.
Testimone delle tenebre, Amos adulto restituisce loro luce proprio raccogliendo in eredità il saper raccontare; la sua narrazione fuori campo riempie di senso i frammenti di storia in cui piomba, fatale, il silenzio.
Portman regista è il riflesso di Portman interprete, ne asseconda con l’obiettivo tutte le inclinazioni, colora (o meglio, desatura) il film delle sfumature di Fania; non priva di personalità, anzi incline a sperimentare, dissemina buone intuizioni. Su tutte, la messa in scena di una vivida, struggente, sensualissima danza con la Morte è un’ottima ragione per perdonarle qualche virtuosismo di troppo.
Presentato fuori concorso a Cannes nel 2015, Sognare è vivere è disponibile in DVD grazie a CG Entertainment, con marchio Mustang Entertainment. Tra i contenuti extra, il trailer.