Un treno arriva sferragliando alla Gare de Lyon, le rotaie fuggono veloci mentre scorrono, anzi deflagrano, i titoli di testa accompagnati da fischiettio e musichetta leggeri e sbarazzini. Zazie, 10 anni, gonnellina a pieghe e caschetto liscio, occhi birichini e denti che ancora devono trovare la loro strada, arriva con la madre. C’è lo zio Gabriel (Philippe Noiret) ad aspettarle, azzimato dandy che ha concluso da poco un monologo sul puzzo emanato dagli esseri umani e sventola un fazzoletto rosso profumato di Barbouze ((Nel doppiaggio il nome del profumo è Adulterio)) un profumo di Fior.
“Macchiffastapuzza…Sul giornale c‘è scritto che a Parigi non c‘è nemmeno l‘undici per cento di appartamenti col bagno, non c‘è da meravigliarsi, ma ci si può lavare anche senza. Tutti questi che mi stan d‘attorno, però, devo dire che mica fanno di gran sforzi…”
– Per fortuna, ecco il treno in arrivo, ottima distrazione. La folla odorosa dirige i suoi multipli sguardi verso i viaggiatori, che cominciano a sfilare ((Per questa e successive citazioni cfr. Raymond Queneau, Zazie dans le métro, Einaudi ed., 1994, passim))
Zio Gabriel ospiterà per due giorni la nipotina terrible, mentre la frizzante Mme Lalochère, vedova, volerà in braccio all’amante di turno.
Zazie è già tutta qui, vispa, prepotente e determinata, e, soprattutto, vuol andare in métro.
Sulla madre dice quanto basta:
“È sempre così lei, quando ha un ganzo non conta più nulla per lei, la famiglia” sul resto del mondo non si fa illusioni, avrà sempre la battuta pronta, ma quel che conta ora è andare in métro.
Purtroppo un gran cartello attaccato ai cancelli dice“Grève”, chiuso, sciopero, e Zazie non si rassegna, sguscia dalla casa dello zio e quel che succederà durante la traversata surreale nel ventre di una Parigi rutilante come un Luna Park, fuori da ogni oleografia, dove si confondono i nomi dei monumenti e l’ingorgo di macchine domina sovrano, è caos quasi primigenio.
Quando alla fine di un tourbillon inarrestabile di coup de théâtre, gag, fughe, incontri e scontri potrà finalmente salire sul métro, riconsegnata alla madre da zia Albertine, sarà troppo stanca per goderselo e crollerà addormentata.
Alla madre frivola e svampita che, ormai sul treno del ritorno, le chiede:
Ti sei divertita?
risponde:
Così Hai visto il métro?
No
E allora cos’hai fatto?
Sono invecchiata
Su questa battuta, J’ai vieilli, tra le più celebri della storia della letteratura, e del cinema che l’ha adottata, torna il fischiettio dell’inizio e si chiude il cerchio bizzarro e fantasmagorico di Zazie che potremmo dire, ormai senza timore di smentita, sans le métro.
Già René Clément aveva tentato di portare Zazie sul grande schermo, ci riuscì nel ’60 Louis Malle. Dal romanzo più famoso di Raymond Queneau, fare un film da Zazie dans le métro fu operazione non facile, lavorare su quel gioco linguistico sperimentale di cui l’autore aveva detto: “Parigi è solo un sogno, Gabriel è solo un’ombra, Zazie il sogno d’un’ombra (o di un incubo) e tutta questa storia il sogno di un sogno, l’ombra di un’ombra, poco più di un delirio scritto a macchina da un romanziere idiota” (( “Tutti mi consigliavano di lasciar perdere quel libro, e di non pensare di poterne mai fare la riduzione cinematografica. Ma a me piaceva enormemente […] Pensavo che la scommessa insita nel fatto di adattare Zazie per lo schermo mi desse la possibilità di esplorare il linguaggio cinematografico. Era un libro brillante, un inventario di tutte le tecniche letterarie compresi, naturalmente, parecchi pastiches. Era come giocare con la letteratura; e mi ero detto che sarebbe stato altrettanto interessante tentare di fare lo stesso con il linguaggio cinematografico.” da Il mio film su Zazie, intervista di Philip French a Louis Malle in Raymond Queneau, Zazie dans le métro, Einaudi ed., 1994 )) , fu una sfida notevole.
Bisognava accordare nella tonalità giusta, dare al burlesque una misura che ne garantisse leggerezza ed eleganza, fare del paradosso divertimento e poesia, tradurre in ritmo e immagini un’invenzione verbale brillante, mobile, sempre in ebollizione, facendo girare la macchina vorticosamente, al passo col tempo del racconto, sulle montagne russe di un circo metropolitano dove tutto è rigorosamente reale e straordinariamente irreale insieme. E bisognava, infine, definire il mondo straripante, frivolo, logorroico ed eterogeneo, che Zazie attraversa, con la cadenza della satira, cogliere, cioè, quelle venature di malinconia che sempre affiorano nel rappresentare il mondo alla rovescia. Zazie è il sogno di un’ombra, dunque il suo è un sogno (viaggiare sul métro parigino), ma nel momento in cui questo si avvera lei dorme, il sogno è esterno al sonno. E allora qual è il confine fra realtà e sogno?
Zazie e la sua frenetica avventura parigina non lasciano spazio né tempo per risposte, è esperienza dadaista allo stato puro, personaggi e situazioni costruiscono un carosello che non finisce mai di stupire e divertire, far pensare a quanto ci sia di vero in tutto questo e far scappar via con una risata, mentre avvertiamo la mano ferma di una regia che spinge e frena al punto giusto, traduce la folle velocità e il ritmo serrato dei dialoghi di Queneau in un linguaggio cinematografico che ingaggia col cinema la stessa lotta che Roland Barthes segnalava tra Queneau e la letteratura ((“Queneau non è il primo scrittore che lotti con la letteratura. Da quando la «letteratura» esiste (vale a dire, a giudicare dalla data del termine, da pochissimo tempo), si può dire che combatterla è la funzione dello scrittore. Ma in Queneau la battaglia diventa un corpo a corpo: tutta la sua opera aderisce al mito letterario, la sua contestazione è alienata, si nutre del proprio oggetto, gli lascia sempre consistenza bastante per nuovi pasti: il nobile edificio della forma scritta rimane sempre in piedi, ma tarlato, intaccato da mille scrostature; in questa distruzione contenuta si elabora qualcosa di nuovo, di ambiguo, una specie di sospensione dei valori della forma: è come la bellezza delle rovine. Niente di vendicativo in questo movimento, l‘attività di Queneau non è propriamente sarcastica, non emana da una buona coscienza ma piuttosto da una complicità. Questa sorprendente contiguità (questa identità?) fra la letteratura e il suo nemico è ben evidente in Zazie.” (da Roland Barthes, Zazie e la letteratura in Saggi critici, «Piccola Biblioteca Einaudi», pp. 80-87, Einaudi, Torino 1972) ))
È metacinema che svela i meccanismi del cinema, dal doppiaggio, che altera spesso le voci, al montaggio stralunato dove le scene, come tessere di un puzzle, sono lanciate in aria e fatte ricadere sul tavolo ad intersecarsi in infinite combinazioni, dove i “cieli di carta” regolarmente vengono strappati e la realtà fa capolino per poi sparire subito, e i personaggi sfilano in un catalogo di tipi umani da teatro dell’arte, una polifonia che, mentre propone un teatro dell’impossibile, svela subito il suo ancoraggio profondo con tutte le possibilità del reale, messe a nudo dalla presenza costante di questa bimbetta sorniona e filosofica, piccolo demone o anche folletto, che si diverte a smontare i pezzi del baraccone con irritante ed eversiva irriverenza. C’è un fare cinema che del cinema adotta gli stilemi classici, mutuando da vecchie comiche e slapstick i passaggi più esilaranti ed esibendo citazioni da Tati, ma intanto inventa quelle nuove strade che tanto contribuirono allo sviluppo di una Nouvelle Vague da cui, pure, Malle si dichiarò sempre estraneo. Ma certo non è un caso che questo sia stato tra i film più amati da Truffaut.
Zazie dans le métro – la versione criterion (DVD – 1 disco / Blue Ray – 1 disco)
– Nuovo restauro digitale in alta definizione, con la colonna sonora mono originale solo nella versione Blu-Ray
– video intervista d’archivio con Luois Malle, Raymond Queneau, Catherine Demongeot e lo sceneggiatore Jean-Paul-Rappeneau
– Intervista audio con il fotografo William Klein, consulente artistico per Le Paris de Zazie, un video del 2005.
– trailer originale
– sottotitoli in inglese
– un booklet contenente un saggio scritto da Ginette Vincendeau