domenica, Dicembre 22, 2024

With Gilbert & George: di Julian Cole – Berlino 58 – Panorama Dokumente

Panorama è la costola più vitale del Festival di Berlino. A dirigerla è da sempre – ventidue anni suonati – il bonario Wieland Speck, che l’ha resa terreno fertile per nuove onde, mutazioni e differenze. Non a caso i Teddy Awards, premi trasversali assegnati ai migliori film di tematica LGBT presentati al Festival, mossero i primi passi nell’87 proprio dalle immediate retrovie del concorso. E non è un caso che, privo com’è della “pressione” esercitata dai premi principali, quelli che finiscono negli articoli-fotocopia e negli annali, i film di Panorama non vengano discussi da una giuria calata dal cielo. A ogni spettatore viene consegnata una scheda dove è possibile apporre il proprio voto, e a kermesse conclusa viene eletto il “film del pubblico”. Mentre il concorso trattiene i pezzi da novanta, le grandi produzioni tedesche e le cinematografie deboli (per via del consueto bilancino geopolitico) e la sezione Forum assorbe le derive autoriali più estreme (talvolta a scapito della gioia della fruizione), Panorama sta nel mezzo e si diverte un mondo, spettatori compresi.


With Gilbert & George
è un documentario realizzato da Julian Cole nell’arco di diciotto anni, dal 1989 al 2007. Ne esiste una prima versione targata 2006, che Cole montò per la grande retrospettiva che la Tate Modern dedicò ai due artisti nel 2007. Il primo incontro tra Cole e il doppio soggetto di questo documentario avvenne nel 1987. Gilbert & George lo vollero come modello per la loro opera See. Da quel momento, il giovanotto rimase in contatto con i due – notoriamente schivi – e nel 1989 documentò vernissage e finissage della mostra londinese For Aids, i proventi della quale – 500.000 sterline – vennero interamente devoluti alla ricerca. Gilbert & George avevano assistito alla morte lenta e alle atroci sofferenze di due loro modelli ricorrenti, protagonisti di alcune opere dei primi anni ’80. In The World of Gilbert & George (1981), primo documentario sulla odd couple (così battezzata dai giornali), il mondo di Gilbert & George assume i tratti di una factory warholiana popolata da giodallesandri e tadzii perennemente in posa, dalle cui bocche escono nenie quali “I am a young man” o “I am angry”.

Dopo quella prima esperienza, Julian Cole divenne il video-biografo ufficiale della coppia. Li ha seguiti a Mosca nel 1990, in occasione della seconda grande mostra dedicata a un artista occidentale vivente (la prima era stata la personale di Francis Bacon nel 1989), li ha seguiti a Pechino nel 1993 (altro evento epocale), a Napoli nel 1998, alla Biennale di Venezia nel 2005, fino alla recente consacrazione al quarto piano della Tate. A forza di documentarne le uscite ufficiali, Cole maturò l’idea di un vero e proprio documentario, per cui cominciò a intervistarli e a ricostruire i loro primi vent’anni di carriera.
Gilbert e George sono due persone distinte, e un solo artista. Si conobbero alla Saint Martin School di Londra, tempio della scultura contemporanea, e dal 1967 cominciarono a operare in tandem. Nel 1968 ebbero l’idea che li lanciò nel mondo dell’arte: impersonare le Singing Sculptures. Vestiti di tutto punto, impassibili, la pelle verniciata con un colore cangiante, Gilbert e George apparivano nelle sale dei musei di arte contemporanea sopra a un tavolo, dove cantavano la canzone Underneath the Arches muovendosi come giocattoli a molla. Fu il loro primo tentativo riuscito di art for all: un tipo di output artistico che non aveva bisogno di note a pie’ di pagina per “arrivare” agli astanti. E nonostante i due non abbiano più battuto la strada dell’arte performativa, dopo quarant’anni sono ancora sculture viventi, in pubblico così come nel privato della loro casa. Solo che non cantano più, né si verniciano la pelle. Sono due uomini in giacca e cravatta, classe 1942 e 1943, che non si separano mai. C’è chi dice di aver visto George andarsi a comprare le sigarette da solo, ma può essere una leggenda urbana.

Gilbert e George abitano da quarant’anni a Spitelfields, nell’East End di Londra, vicino a Brick Lane: uno dei più depressi della capitale britannica. Dopo l’exploit delle Singing Sculptures e la tacita decisione di fare della loro vita una performance permanente, i due si dedicarono all’arte figurativa. La loro produzione comprende grandi immagini “squadrettate”, collage fotografici colorati con gusto warholiano. In basso a destra, titolo e doppia firma. I temi delle opere di Gilbert & George vanno dal multiculturalismo all’anticlericalismo, dalla imagery omosessuale all’esplorazione meticolosa del proprio corpo – questo soprattutto negli ultimi anni, in cui i due si mostrano nudi in fotomontaggi che integrano cacca, foglie dorate, tag graffitistici e immagini al microscopio del loro sperma, del loro piscio, delle loro lacrime. I due abitano in un edificio dell’epoca di Re Giorgio, quasi completamente vuoto, che hanno gradualmente restaurato. Di mattina escono, passeggiano nel quartiere, scattano foto, cercano modelli, bevono tè, escono di nuovo per cena, rincasano. La loro casa. Questa è la vita, e l’arte, di Gilbert & George.
Come ha affermato lo stesso Cole al momento di presentare il suo lavoro, With Gilbert & George è una vera e propria storia dei supporti video dalla fine degli anni ’80 a oggi. Il montato differisce sensibilmente per qualità, ma anche per stile di ripresa. Alcune vecchie interviste mostrano la coppia trincerata dietro una statuaria strategia difensiva ed evasiva, mentre in alcune immagini più recenti il duo scherza, scioglie le trecce: Gilbert, col suo accento tedesco (è nato nelle Dolomiti italiane), se la prende con la Chiesa cattolica, George mostra la sua collezione di letteratura gay di inizio ‘900, legge una filastrocca nonsense e una quarta di copertina in cui si avverte che il libro “is not about homosexuality”, assicurazione britannica del fatto che lo sia. Nel montare il suo lungo home movie, finanziato con mezzi propri, Julian Cole si è preoccupato soprattutto di offrire uno sguardo a 360° sulla coppia di artisti e sulla loro straordinaria carriera quarantennale. Ogni tanto si coglie, tuttavia, un intervento “additivo”: Gilbert e George vengono fatti volare sul cielo di Londra con un effetto speciale degno di Mary Poppins, oppure alcuni ex modelli ci parlano direttamente dalle opere in cui vennero immortalati, con il classico escamotage reso celebre da Gus van Sant Jr. in Belli e dannati. A visione conclusa si ha l’impressione di essere reduci da un universo parallelo, autosufficiente, magnificamente ossessivo. Un universo uno e bino che non ha bisogno delle immagini in movimento per esercitare la sua strana fascinazione.

Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi è nato a Bologna nel 1976. Vive in Germania. Dal 2002 lavora in campo editoriale come traduttore (dal tedesco e dall'inglese). Studia polonistica alla Humboldt. Ha un blog intitolato Orecchie trovate nei prati

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