lunedì, Dicembre 23, 2024

David Wants to Fly di David Sieveking – Berlinale 60 – Panorama: la recensione

David Lynch medita dai tempi delle riprese di Eraserhead. Come sanno i lynchiani accaniti non si tratta di una stravaganza in stile Dale Cooper, al contrario: è una cosa seria. Si chiama meditazione trascendentale e scaturisce dagli insegnamenti di Maharishi Mahesh Yogi, fuor di metafora il santone dei Beatles e di Mia Farrow. Prima di spegnersi senza aver indicato un successore unico, il buon Yogi ha pensato bene di strutturare il suo seguito e di creare… un governo. Un governo della pace mondiale, i cui gerarchi si chiamano raja, vestono di bianco e hanno un ridicolo cerchietto-corona dorato in testa. Orbene. Nel 2005 David Lynch ha creato una fondazione recante il proprio nome al fine di sostenere e diffondere la meditazione trascendentale, soprattutto tra i giovani. A metà novembre del 2007 ha compiuto un minitour in Germania, fermandosi a Berlino il 15 novembre. Nella prestigiosa cornice dell’Urania, il regista si è presentato in compagnia del raja tedesco Emanuel Schiffgens per dare una grande notizia in anteprima: la capitale tedesca avrebbe avuto di lì a poco un’università della meditazione trascendentale. Forma dell’edificio: a metà strada da una torre d’avorio e il Taj Mahal. Luogo di costruzione: Teufelsberg, collina di detriti su cui si erse nel dopoguerra una bizzarra centrale spionistica della CIA, ora ridotta a rudere per graffitari. Nome del luogo: Università della Germania invincibile (Universität des unbesigbaren Deutschlands). Quando il pingue raja Emanuel comunicò questo dettaglio dopo aver ribadito di essere un “buon tedesco”, e incitò il pubblico a inneggiare alla Germania invincibile, la reazione fu prima di sgomento, poi di ira funesta. Povero David, urlarono molti. Non capisci il tedesco e ti lasci raggirare da un ciarlatano. Dopo aver concluso la conferenza in fretta e furia, David ed Emanuel corsero sul Teufelsberg per depositare le prime pietre dell’edifizio, pietre bianche vergate con parole sanscrite. Il Senato cittadino si è poi rifiutato di vendere il terreno a Lynch e ai suoi amichetti. Tutto questo è scrupolosamente documentato da David Sieveking in David Wants to Fly, un’opera imperdibile per chi ama Lynch – anche se contiene, diciamo, malignità sottopelle e qualche immagine imbarazzante ai danni di Mr Blue Velvet.

Sieveking è un giovanotto di buona famiglia con la fissa per Lynch (in casa sua vediamo almeno tre poster inequivocabili) e la fortuna di averlo incontrato in più di un’occasione, con la macchina da presa a fare da terzo incomodo. Senza la presenza di Lynch il documentario non sarebbe mai sbarcato alla Berlinale, o in sala. Ciò detto, David Wants to Fly è molto più di un filmetto cannibalico che si aggrappa al regista di Missoula come una mignatta. Sieveking conduce una ricerca approfondita sulla “TM”, viaggia mezzo mondo e incontra ogni genere di persone che hanno (avuto) a che fare con l’impero interiore di Maharishi Mahesh. Interiore? Fino a un certo punto. Quando si tratta di sborsare dollari sonanti la questione si fa alquanto terragna. Qualche esempio: alla succursale di Hannover, l’unica ufficiale in tutta la Germania, si viene ricevuti e si ottiene un mantra personalizzato alla modica cifra di quasi 3000 euro. La “scuola” dei raja costa un milione di dollari. E con le offerte dei fedeli occidentali, cambiate in rupie, si potrebbe migliorare la vita di milioni di indiani – cosa che non accadrà mai finché il denaro scompare in fantasmatici progetti di villaggi recintati, succursali del governo della pace mondiale, in cui non vive nessuno.

La struttura del film è indubbiamente debitrice del format Michael Moore. Sieveking tenta di farsi personaggio – cappello da balordo, sorriso beota, un atteggiamento da impiastro cortese che ricorda Jeffrey Beaumont – e incrocia le armi ben cinque volte col suo mito, che nel corso del film diventa qualcosa di meno. Diventa un uomo aggrappato alle proprie convinzioni, che non vuole sentire “domande critiche”. Una specie di Tom Cruise della meditazione. Sieveking però non è Michael Moore, e il suo film non è una crociata contro Lynch o la meditazione trascendentale. La gestazione di tre anni del documentario si vede e giova a infondergli credibilità: prima sincero interesse, poi dubbio crescente, fino al naufragio. Il giovane documentarista scopre le tante contraddizioni e il giro d’affari abnorme della TM e dopo aver ficcanasato anche troppo desta sospetto negli interessati – Lynch, e i raja – i quali chiedono di vedere il film e di approvarne il final cut. Sieveking si sente messo all’angolo, e quel che è peggio la sua fidanzata lo molla. La sottotrama “sentimentale”, strano ma vero, funge da cuscinetto nel montaggio del film e si integra senza far danni. A questo punto, dopo aver visto la bandiera svizzera sventolare nella sede del governo della pace mondiale, dopo aver beccato Lynch in tunica bianca ai funerali del santone, dopo aver registrato l’intervento di Paul McCartney per il fund raising della fondazione e aver tentato, invano, il volo yogico, David che fa. Va in Nepal, incontra un vecchio saggio che gli fa una ramanzina in sanscrito senza sottotitoli e in compagnia di un asceta sfida l’aria sottile e arriva alla foce del Gange. Poi fa ritorno in Germania e si reca sul Teufelsberg con la sua ex, a meditare. Perché meditare gli piace sul serio. “Come essere in ascensore, al buio, e si staccano i cavi” – parola di Lynch.

David Wants to Fly è un piccolo documentario sull’autenticità della meditazione e sulle insidie della meditazione marchio registrato. Che molte cose fossero fuffa lo sapevamo già dai tempi di Sono un fenomeno paranormale (1985) con Albertone. Che la meditazione trascendentale fosse la Scientology sessantottina, meno. E che Lynch ci credesse così tanto, ancora meno. Per chi ama il James Stewart venuto da Marte, la visione di questo film può equivalere a una staffilata in pieno petto.

P.S. “Invincibile”, secondo la TM, è colui che non ha nemici, solo amici. Tutti gli insediamenti del “governo della pace mondiale” recano il nome della nazione che li ospitano e l’aggettivo invincibile.

Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi è nato a Bologna nel 1976. Vive in Germania. Dal 2002 lavora in campo editoriale come traduttore (dal tedesco e dall'inglese). Studia polonistica alla Humboldt. Ha un blog intitolato Orecchie trovate nei prati

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