martedì, Novembre 5, 2024

Straneillusioni Podcast # 0: Il documentario narrativo contemporaneo – Una finestra sul Salina Doc Fest.

giovanna-taviani.jpgIndie-eye Straneillusioni lancia, in via sperimentale, un canale Podcast dedicato ad approfondimenti, conferenze stampa, conversazioni sul cinema, in formato prevalentemente audio. Il feed .rss per iscriversi in modo automatico e per ricevere i contenuti è memorizzabile attraverso questo link. Il podcast sarà presto presente nelle directories iTUNES e all’interno dei principali aggregatori web-based, esattamente come per il portale Mediacast.

Al momento, soprattuto per chi non fosse abituato ad ascoltare contenuti diffusi via feed .rss, il modo più semplice per ascoltare il numero zero di Straneillusioni Podcast è quello di copiare questo link con il pulsante destro del mouse, e a scelta, seguire una delle procedure sotto-elencate.

a) aprire Winamp, posizionarsi nella Podcast Directory, premere il pulsante ADD e inserire il link per esteso (https://www.indie-eye.it/straneillusioni.xml ) , come mostrato nella figura seguente; la procedura permette di ascoltare i contenuti audio in streaming, senza dover necessariamente scaricare il file in locale.

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b) Aprire iTUNES, posizionarsi sulla directory Podcast, scegliere il menu Avanzate/iscriviti al podcast, e inserire il link per esteso ( https://www.indie-eye.it/straneillusioni.xml ) all’interno del box preposto, come nella figura seguente.

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c) Se utilizzate Firefox o le ultime versioni di Explorer (è preferibile Firefox in ogni caso) potete cliccare direttamente questo link, e godervi il file mp3 in modo diretto, via browser.

d) Per chi ama gli automatismi e conosce già il mondo degli aggregatori, ne consigliamo uno snello, gratuito, veloce e cross-platform come Juice

Il documentario narrativo contemporaneo – Una finestra sul Salina Doc Fest.

Questo il titolo dell’evento tenutosi lunedì 7 nell’ambito de La Soffitta 2008– Stagione del ventennale, organizzato dal Centro La Soffitta del Dams di Bologna,che ha visto la partecipazione della giovane critica (letteraria e cinematografica) nonché documentarista Giovanna Taviani, ideatrice e direttrice del Salina Doc Fest, giunto quest’anno alla sua seconda edizione. Ad incontrare insieme a lei il pubblico di studenti bolognesi un documentarista d’eccezione, il siciliano Marco Amenta, vincitore del premio del pubblico alla prima edizione del Festival (settembre 2007) col suo Il fantasma di Corleone, dedicato alla figura dell’introvabile Bernardo Provenzano, curiosamente arrestato subito dopo l’uscita del film, nell’aprile 2006. Ecco il resoconto audio dell’incontro dei due autori con il pubblico del Dams, coordinato dai docenti Michele Fadda e Giacomo Manzoli.

Salina Doc Fest: ovvero, come portare un genere trascurato in un’ isola bellissima.

Salina, paradiso delle isole Eolie e patrimonio dell’Unesco, diventa il paesaggio in cui, a tappe itineranti, si svolge uno dei festival italiani più importanti dedicati al documentario, genere spesso troppo obliato in un paese come il nostro, dove ancora fatica a conquistarsi il titolo di opera cinematografica a tutti gli effetti.
Giovanna Taviani, saggista e studiosa di cinema e letteratura ( autrice di testi come Lo sguardo obliquo.Al confine tra letteratura e cinema, Palombo Editore, 2006), nonché essa stessa documentarista (ha debuttato nel 2004 con il film I nostri 30 anni: generazioni a confronto, presentato nell’ambito del Torino Film Festival, mentre il suo secondo lavoro Ritorni, è stato presentato alla Festa di Roma 2006 e ha vinto il Premio Speciale della Giuria al Potenza International Film Festival), ha avuto l’idea di usare questa suggestiva ambientazione per un festival ricco di stimoli e squisitamente insolito nel panorama festivaliero nazionale. Del resto, come ama essa stessa ricordare, le isole Eolie non sono nuove all’incontro con il cinema, basti pensare a quanti film le vedono protagoniste: da Stromboli all’Avventura, da Vulcano a Kaos, da Il postino a Caro Diario, e ci si può spingere fino alla fine degli anni ’40, quando Alliata, Maraini e Moncada fondavano la Panaria Film, casa di produzione storica dedicata principalmente al documentario.
L’idea di documentario che Giovanna Taviani ed il comitato del festival vogliono promuovere è quella di lavori che non tralascino l’aspetto eminentemente narrativo di un opera cinematografica, qualunque essa sia. Per raccontare la realtà, infatti, è necessario raccontare una storia, e per farlo è lecito usare tutti i mezzi a nostra disposizione, compresi quelli che servono a palesare il punto di vista di chi la realtà la osserva, registra, interpreta e trasmette ( come ci ha insegnato il buon vecchio Flaherty, del resto.) Insomma, inutile cercare un’oggettività dello sguardo che semplicemente, in qualsiasi mezzo di comunicazione e quindi anche nel cinema, non può esistere.
Il premio al miglior documentario della prima edizione del Salina Doc Fest è andato a Primavera in Kurdistan di Stefano Savona, mentre per la sezione Dal testo allo Schermo, che premia scrittori e personalità del mondo della cultura distintisi per opere di particolare impegno civile al confine tra letteratura e cinema ,lo scorso settembre è stato premiato Roberto Saviano, per il romanzo Gomorra, portato ora sugli schermi da Matteo Garrone.
Una delle novità della seconda edizione è il gemellaggio del Festival siciliano con il Sao Paulo Film Festival, prestigioso festival brasiliano giunto alla sua XXXI edizione, che attraverso una giuria presieduta dal direttore della Mostra di San Paolo, Loen Kakoff, selezionerà un documentario tra quelli presentati al Festival di Salina che sarà proiettato nel mese di Novembre al Festival sudamericano, mentre il Salina Doc Fest ospiterà un documentario brasiliano, e relativo autore , in una finestra fuori concorso.
Tra le altre novità del festival c’è un interessante Progetto Web che vedrebbe protagonisti gli studenti del Dams di Palermo e di altre università italiane (tra cui quella di Bologna):l’idea è quella di rendere fruibile il festival (e cioè le proiezioni più significative, gli incontri con gli autori,i dibattiti etc.), in rete, così da permettere anche a chi non è riuscito a raggiungere la stupenda isola di non perdere l’occasione di seguire uno dei festival ad oggi più stimolanti nell’omologato contesto dei festival italiani.

Il fantasma di Corleone di Marco Amenta.

amenta-e-mazzarella.jpgMarco Amenta aveva deciso di fuggire dalla Sicilia dopo la strage di Capaci nel 1992, ma alla fine,nonostante si sia laureato in cinematografia a Parigi ed abbia iniziato lì la sua carriera prima da fotoreporter e poi da cineasta, non ha mai dimenticato la sua terra, insieme alle sue bellezze e contraddizioni irrisolte. Prima di affrontare il fantasma di Bernardo Provenzano,infatti, ha girato e presentato alla 54° Edizione del Festival di Venezia-fuori competizione-il film Diario di una siciliana ribelle, distribuito da 30 tv in tutto il mondo (in Italia fu trasmesso da Rai due in prima serata), successivamente ha scritto e diretto il documentario L’ultimo Padrino, una coproduzione italo-francese che, anch’essa, è stata comprata dalle televisioni di moltissimi paesi.
Con Il fantasma di Corleone il ritorno alle origini si fa ancora più diretto, addirittura diventa parte del film stesso, incorporando il personaggio dell’autore (interpretato dallo stesso Amenta) che torna in Sicilia per girare un documentario sull’enigmatica figura di un capo-mafia che esiste ma non si vede da ben 43 anni.
Questo documentario ha una gestazione di due anni ed una storia abbastanza complessa. All’inizio Amenta vuole realizzare un vero e proprio documentario, usando materiali di repertorio ed interviste ai personaggi coinvolti. Iniziano le sue ricerche presso gli archivi del Tribunale di Palermo, gli incontri con i procuratori che hanno lavorato al caso (Roberto Scarpinato e Antonino lo Forte), ed in particolare con il Capo della Squadra mobile di Trapani, Luigi Linares, vero protagonista del film, con il suo entusiasmo e senso della giustizia che non è stato scalfito dalle difficoltà e frustrazioni accumulate negli anni. Raccolto gran parte del materiale, però, lo Stato Maggiore di Polizia ritratta e nega il permesso accordato.A quel punto Amenta si trova costretto, per non buttare il progetto, ad incrementarlo con delle parti di fiction, che vengono affidate agli interpreti Donatella Finocchiaro e Vincent Schiavelli, finchè lo stesso Linares, seguito dai suoi superiori, dà finalmente il nullaosta per usare la sua immagine.
A quel punto la scelta è obbligata: Amenta preferisce rinunciare alle parti di fiction già realizzate (con un discreto dispendio di mezzi) e usare i documenti reali, molto più suggestivi ed eloquenti (di ricostruito rimane solo la figura di un poliziotto,che non poteva essere mostrato di persona per motivi di sicurezza, interpretato da Marcello Mazzarella, la voce registrata di Provenzano che legge i pizzini, e le ricostruzioni delle guerre di mafia tra clan ).
pistola-corleone.jpg Il film, che segue la struttura, almeno inizialmente, di un film di detection tradizionale, si compone di vari materiali, tra i cui quello più coinvolgente e spiazzante è sicuramente la ripresa in diretta di una retata, diretta da Linares, in cui sono arrestati ben 30 membri del clan di Provenzano, compreso il suo braccio destro Vincenzo Virga.
Getta luci inquietanti sulla questione il racconto del colonnello dei Ros Michele Riccio, che nel 1995 a Mezzoiuso, grazie ad un pentito di nome Ilardo, si trova a due passi dall’arrestare Provenzano (letteralmente questi,adescato da Ilardo, si trovava a neanche un chilometro dagli appostamenti dei suoi uomini), quando riceve l’ordine di non intervenire da parte del colonnello Mario Mori. Successivamente Ilardo venne assassinato, e si perse (si volle perdere, è meglio dire), l’occasione di catturare l’imprendibile capomafia.
In seguito alle sue rivelazioni sia Riccio che Amenta sono stati querelati dal colonnello Mori, ma sul caso la procura di Palermo ha aperto un’inchiesta per far luce sugli avvenimenti di quel giorno, come ci informano i titoli di coda del film
Del resto che il film in Italia fosse una testimonianza scomoda lo dimostrano anche le traversie per la sua messa in onda in Rai:acquistato da essa due anni dopo la sua produzione, è stato barbaramente tagliato, con la scusa che il timing della rai sono 52 minuti, meno della durata originale del film: in realtà, come suggerisce lo stesso Amenta, è probabile che non si abbia il coraggio di mostrare il pentito Cancemi che nomina Berlusconi e Dell’Utri come sottoposti di Provenzano. Risultato:il film, dopo essere acquistato, è stato messo in un cassetto, e ha visto il buio delle sale solo grazie all’intraprendenza del distributore Gianluca Arcopinto.
Per una coincidenza incredibile arriva nelle sale proprio pochissimo prima dell’arresto effettivo di Provenzano.La figura di colui che dal 1969 si trovava a capo della mafia siciliana gestendo nell’ombra tutti i traffici e le esecuzioni è ricostruita con attenzione a non eroicizzarla- rischio che si corre spesso descrivendo personaggi dal carisma così forte- ma ugualmente suggerendo anche interrogativi su cosa spinga un uomo a non vivere, o a vivere comunque solo e continuamente braccato, pur di comandare. La risposta più giusta la fornisce forse l’ esperto di psicologia mafiosa intervistato nel film: per un mafioso comandare è meglio di fottere, che è la parafrasi di un vecchio proverbio siciliano.

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