Questa “ via di mezzo” (Araf – Somewhere in Between) di Yesim Ustaoglu è l’anello debole di una filmografia altrimenti eccellente, capace di focalizzare immedicabili lacerazioni del corpo sociale raccontando storie minime e smarrimenti circoscritti in mondi individuali.
Si avverte, in Araf, un preziosismo stilistico che stride con la grana grossa della storia raccontata. C’è una sorta di eccesso, una ricerca di effetto che non giova al racconto di vite ai margini come quelle dei tre protagonisti. L’attenzione al tema della discriminazione sulla donna, il gelo della disfatta di entrambe le parti, uomo/donna, nel conflitto sessuale, lo sguardo sul gap sempre più alienante tra modernizzazione e tradizione, lo scontro generazionale che ne consegue e, infine, lo scivolamento sul terreno del “futuro negato”, con un matrimonio celebrato dentro un carcere che fa molto finto “lieto fine”, sono tematiche troppo forti per coesistere in uno stesso film, il rischio dell’overdose è incombente.
Va comunque sottolineato il merito di una messa in scena accurata, che ottiene empatia più che nello scavo sui personaggi, piuttosto esiguo, nelle riprese in esterno, scenari su cui si proietta una geometria delle passioni inversamente proporzionale. E allora scorrono colate di metallo fuso quando invece il gelo si è steso sull’anima, le autostrade sono spazzate da folate di neve mentre nei cuori ribolle il fuoco del desiderio, marine grigio piombo per un incontro fra i due protagonisti che dovrebbe tingersi di rosa.
Nessuno parla, l’unica battuta in tutto il film la dirà lei: “Portami via con te”, ma naturalmente lui non lo farà e il suo camion che scompare nella bruma è l’ultima cosa che sapremo di lui.
La storia di Zehra (Neslihan Atagül) e Olgun (Baris Hacihan) è un topos conclamato della narrativa mondiale, una storia antica di seduzione e abbandono che si rinnova di stagione in stagione, adottando look diversi e identica amarezza.
Lavoro umile in fast food da male ai piedi la sera, sogni davanti alla TV, la dura realtà che si affaccia sotto mentite spoglie, Zehra ricorda Biancaneve, tanto è bella, innocente e sprovveduta.
Ma al posto del principe azzurro arriva però l’Orco, un camionista bello e impossibile che la corteggia “avvolgendola di sguardi”, le fa intorno una danza erotica di cui il povero Olgun (Baris Hacihan), collega innamorato di Zehra da sempre, un tipo da disco music e cavallo basso dei pantaloni, non può reggere il confronto.
L’equazione a questo punto è fatta e ci scappa il pupo. Un aborto spontaneo ripreso in diretta, con abbondanza di versamento sanguigno che la protagonista si affretta a pulire dopo l’autotaglio del cordone ombelicale, spinge il film verso una deriva imbarazzante, resa ancora più incredibile dalla madre di lei che non si fa problemi nel constatare la lunga assenza della figlia, portata in ospedale e chiusa in bagno in preda a forti dolori addominali. La donna se ne sta fuori dalla porta e aspetta tranquilla.
Il resto è storia nota che purtroppo favola non è, ma che si può anche raccontare in un film, a patto di trovare il registro giusto.