Ogni film di Cattet e Forzani è un tuffo nelle profondità oceaniche del cinema di genere anni ’70. Non fa eccezione questo Riflessi in un diamante morto, che supera in corsa i fratelli Manetti nel voler riprodurre, ossessivamente e bastardamente, l’universo fumettistico e fotoromanzesco di Diabolik.
La tuta nera con fessura per gli occhi la indossa la misteriosa Serpentik, che come una biscia rara ha mille pelli, ognuna delle quali femminile e conturbante col turbo. Tarantino stravede per Cattet e Forzani, del resto come resistere alla loro idea di cinema tutta citazioni e stile parossistico?
Se Amer (2009) era un omaggio ipertrofico alla tecnica argentiana, con Laissez bronzer les cadavres (2017) il duo mette in scena un polar hard boiled nella forma di un eterno duello di Sergio Leone. Primissimi piani, dettagli, effetti speciali fotografici e montaggio che si pavoneggia insieme a un découpage fatto apposta per essere annotato da noi cinefili con la schiuma alla bocca.
Un effetto dopo un effetto dopo un effetto: Cattet e Forzani, il direttore della fotografia Manu Dacosse e il montatore Bernard Beets ricreano Dario Argento senza i siparietti di Daria Nicolodi, ma soprattutto – ed è questo il loro limite – anche senza tensione drammatica. Formalismo puro. Prendere o lasciare.
Qui Fabio Testi, corpo che rappresenta gli estremi schizoidi del decennio ’70, interpreta un agente da fotoromanzo che s’imbatte nella rediviva minaccia criminale di Serpentik. A interpretare il “giovane” John D è Yannick Renier. Ma la trama non conta. Contano le atmosfere, il crepitio della pelle (il bruitage usato più spesso dalla coppia di autori) e ovviamente le strizzate d’occhio a raffica.
I titoli di testa letteralmente “immersivi”, che fingono di essere di coda, sono imperdibili insieme alla lunga sequenza di menare nel bar “Le pirate”, con la colonna sonora di Celentano.
Musiche al solito prese a prestito dal cinema di genere italiano degli anni selvaggi, con recuperi di Morricone, Nicolai e dell’amatissimo Stelvio Cipriani. I fumetti di Serpentik recano la firma di Emanuele Barison, autore di Diabolik. Prima o poi Cattet e Forzani riusciranno a temperare il loro stile debordante con un plot efficace, e allora sì che si potrà gridare al capolavoro. Nel frattempo ci si gode queste chicche incartate come guilty pleasure a 24 carati.