The mystic chords of memory, stretching from every battlefield and patriot grave to every living heart and hearthstone all over this broad land, will yet swell the chorus of the Union, when again touched, as surely they will be, by the better angels of our nature.
Un film sull’infanzia di Abraham Lincoln era nei progetti messi in cantiere dall’ultimo, prolifico Terrence Malick.
E Malick è ovunque in The Better Angels, presentato a Berlino 64 nella sezione Panorama. Nel realismo lirico del montaggio punteggiato da continue anafore e allitterazioni e nella soggettiva/oggettiva animale della macchina da presa che per buona parte del film striscia rasoterra e continuamente alza lo sguardo verso il volto dei personaggi, la cima degli alberi, il cielo.
Nel prevalere della voce narrante sui dialoghi. La fonte storica principale del film è infatti il contenuto di un’intervista rilasciata diversi anni dopo l’assassinio di Lincoln (1865) dal cugino Dennis Hanks che con lui condivise quegli anni giovanili (1816-1830) trascorsi nella capanna tra i boschi di Perry County in Indiana. E’ il suo racconto in retrospettiva che che cuce le immagini.
Nella musica romantica e intrisa di temi religiosi sia per la colonna sonora originale di Hanan Townshend (The Tree Of Life, To The Wonder) sia per la selezione di autori classici prediletti dall’ultimo Malick tra cui spicca Anton Bruckner.
Nella regia di A.J. Edwards che è al suo esordio sul lungometraggio ma lavora con Malick dai tempi di The New World e ha lavorato come regista della seconda unità e montatore in The Tree Of Life e To The Wonder e sarà della partita anche nel preannunciato King Of Cups.
Infine, nella produzione sua e di Nicolas Gonda.
Così non è facile resistere alla tentazione di guardare The Better Angels come uno spin off della serie The Tree Of Life/To the Wonder anche perché il tema cardine rimane il rapporto tra umano, divino e natura.
In The Better Angels il substrato autobiografico dei precedenti lascia il posto a una materia storica in cui la ricerca documentale si deposita nel film sotto forma di cenni e dettagli abbozzati in modo impressionistico – le letture decisive a partire dalla Bibbia di Re Giacomo, il Pilgrim’s Progress e Robinson Crusoe, l’addestramento alla lotta, l’incontro con un gruppo di schiavi in catene finalmente approdati in uno Stato libero, il trauma della morte della madre (Brit Marling).
Declinato in questa forma lirica, prevale il modello narrativo evangelico. Il giovane Abe, che cresce instaurando un forte rapporto con la nuova moglie del padre (Diane Kruger), è dipinto come un predestinato, colui che guiderà l’Unione alla vittoria contro gli Stati secessionisti nella Guerra civile e alla conseguente abolizione della schiavitù in tutto il paese, il salvatore della Patria insomma. Il titolo del film cita infatti le parole conclusive del suo discorso di insediamento come sedicesimo presidente degli Stati Uniti.
In conflitto con la dura educazione religiosa e le aspettative paterne Abe tenta di assecondarle mettendosi alla prova dissodando la terra e spaccando la legna e subito dopo, al maestro che chiede “Cosa faceva Gesù da ragazzo?” risponde “Lavorava nel negozio del padre”. Il ragazzo manifesta precocemente l’empatia per il mondo, la natura, gli animali e per i suoi simili dei cui peccati non tarda a farsi carico prendendosi colpa e conseguente pena somministrata a suon di vergate dal padre Tom (Jason Clarke), intransigente Battista, letteralmente un “disgraziato” trasferitosi con la famiglia in una capanna in mezzo ai boschi dell’Indiana per rifarsi una vita dopo aver perso l’ingente ricchezza accumulata.
Torna in mente The Tree Of Life: “Love everyone. Every leaf. Every ray of light. Forgive” e il dissidio di Padre Quintana, la sua fame e sete di un Dio che non si fa vedere in To The Wonder: “Everywhere you are present and still I can’t see you, you are within me, around me and I have no experience of you, why can’t I hold on to what I have found?”
Spinta verso la luce e l’esperienza sensoriale, Edwards gira in 35mm e in un corposo bianco e nero con l’idea di far sentire la storia più che raccontarla e Abraham, interpretato da un giovane attore non professionista, è un taciturno osservatore spesso appoggiato in un angolo dell’inquadratura occupata per i ¾ dalla cruda bellezza della natura americana.
Per misurare il talento proprio di Edwards bisognerà aspettare la seconda prova, per il film sull’infanzia di Lincoln quel che rimane è l’idea della visione che scolpisce un carattere.