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Two men in town di Rachid Bouchareb: Berlinale 64 – concorso

Two Men in Town è il secondo titolo “americano” realizzato da Rachid Bouchareb dopo Just Like a Woman; remake di un noto “polar” dei primi anni ’70 diretto da José Giovanni, il film non aggiunge molto a quello che già sapevamo del cinema del regista franco-algerino.

Inseriti in una compostezza tutta televisiva, i corpi diretti da Bouchareb sembrano trattenuti all’interno di una cornice dall’inesorabile fissità, dovuta ad un’incapacità di fondo a far vibrare le cose, più che ad una scelta specifica. Forest Whitaker è William Garnett, appena uscito di prigione per buona condotta, dopo 18 anni di carcere scontati a causa di un omicidio probabilmente causato dalla rabbia. Nella ricostruzione della propria vita, l’Islamismo occupa uno spazio importante nella vita di Garnett, e sin da subito Bouchareb introduce la sua conversione come un elemento di controllo della sua parte più oscura. Nella cittadina del New mexico dove vive cercherà un nuovo lavoro, grazie al sostegno di Emily Smith, l’agente interpretata da Brenda Blethyn assegnatagli per le mansioni di sorveglianza. Lo sforzo di Garnett di cercare una dimensione quotidiana, lo porterà ad iniziare una relazione con Teresa, impiegata dell’ufficio lavoro e immigrazione, mentre ad impedire il suo completo re-inserimento ci penseranno la sceriffo del luogo (Harvey Keitel) deciso a non perdonare il passato di Garnett, legato all’omicidio di un agente, e un vecchio collega di affari che vuole convincerlo a ricominciare con un giro non del tutto lecito.

Bouchareb accentua la solitudine dei personaggi, divorati da un paesaggio senza orizzonte, cogliendoli quasi tutti in una dimensione fuori dal tempo, come se le loro storie affondassero le radici in uno spazio mitico, una tragedia il cui sviluppo è già pre-determinato. Non è solo la ieraticità di alcune figure, Keitel ed Ellen Burstyn per esempio, congelati per ragioni diverse in un passato indicibile e ritagliati su uno sfondo che non possono attraversare, ma anche il ritornare su se stessi degli eventi, fino a quell’ellisse che apre e chiude il film e che ci offre una prospettiva già scritta e “già vista”.

Two Men in town è allora un film che non commuove e non si muove, dove lo sguardo, rimanendo intrappolato in una contemplazione del paesaggio, tratta i personaggi come elementi dell’ambientazione. Persino il volto dolente di Whitaker, perfetto per questa oscillazione tra tenerezza e rabbia, stupore e disillusione, perde tutto il potenziale a causa della distanza che il regista franco-algerino gli oppone e in fondo, ci oppone.

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