Più semplice di così si muore: questo film ambisce a diventare The Hurt Locker tedesco, complice l’ambientazione afghana (moderno teatro di guerra!) e l’identità di genere della regista. Come per il film di Kathryn Bigelow, quest’ultimo dato non influisce minimamente, né punta a farsi sentire. Va detto però, e subito, che Aladag non è Bigelow. E che Zwischen Welten, o come verrà più spesso chiamato Inbetween Worlds, non vale la metà del (già opinabile) dramma iracheno vincitore d’Oscar. A inquadrare immediatamente gli orizzonti della pellicola è l’intro della 20th Century Fox prima dei titoli di testa. È abbastanza raro vedere il logo di una major su un film in concorso – peraltro, non americano – ma quello che segue è una conferma, dalla prima all’ultima inquadratura, degli stilemi del cinema da esportazione.
Assistiamo al tormentato ritorno in Afghanistan, con la missione Isaf, del comandante Jesper (Zehrfeld), il cui fratello è morto soldato durante gli anni post-11 settembre. Jesper incontra il giovane Tarik (Ahmady), interprete improvvisato mal visto dai talebani che gli hanno già ucciso il padre «collaborazionista» e spiano sua sorella Nala (Barmaki), studentessa lavoratrice che gira col burqa per sfuggire alle imboscate. La tragedia è assicurata. Il film di Aladag si lascia guardare, è ben costruito, tecnicamente ineccepibile e dotato di un buon cast. Ma il dramma vero è la sua prevedibilità, a partire dalla scelta degli attori (Zehrfeld buono come il pane, Burghart Klaußner volto dell’autorità e via andare secondo i dettami della fisiognomica), passando per il manicheismo dei ruoli (i cattivi, quelli che ammazzano, non si vedono mai in faccia) fino al registro narrativo, improntato a un politically correct piatto ed esangue. Dopo la Berlinale, Zwischen Welten ha una proiezione assicurata al Ministero della Difesa, in presenza della ministra Ursula von der Leyen. Che sorriderà nell’assistere alla breve sequenza nel locale notturno, quando i soldati ubriachi simulano spogliarelli muliebri, e scosserà il capo ogni volta che le inflessibili autorità teutoniche, al telefono, mettono i bastoni tra le ruote all’eroe, cioè al Buon Tedesco. Ottimo materiale per un pistolotto edificante. Quale è, o vorrebbe essere, questa marchetta militarista.