Il berlinese Ozan Mermer entra dentro un centro di accoglienza per rifugiati, ricordandoci in qualche modo i recenti episodi avvenuti a Burbach, nel Nordreno Westfalia, dove la diffusione pubblica di alcuni video agghiaccianti sui trattamenti riservati agli ospiti avevano messo nuovamente in discussione il senso di queste strutture, molto simili ai nostri C.I.E e raccontati recentemente da ‘Illégal’, il bel film di Olivier Masset Depasse, per quanto riguarda il contesto belga.
A differenza di Masset-Depasse, Mermer non è interessato alla relazione tra esterno e interno come rilevatore della sottile linea di demarcazione tra legalitá e illegalitá, puntando sopratutto a far emergere tutte le dinamiche endogene esasperate dall’assenza dello stato, il cui vuoto viene sostituito da regole disumane che spingono le stesse vittime ad assumere il punto di vista dei carcerieri.
Quando un rifugiato africano troverá il suo compagno di cella iraniano impiccato, ritenuto responsasbile dovrá subire l’interrogatorio dei custodi del centro e le rappresaglie della micro-comunitá iraniana interna alla stessa struttura. Filmato in un bianco e nero claustrofobico, Out of Place rappresenta uno spazio attraversato dalla sospensione del diritto, ma anche l’iperrealtá di un vero e proprio “fuori luogo”; Mermer insiste infatti sullo svuotamento degli spazi, sulle minacce invisibli, sulle improvvise aperture verso il niente, basta pensare ai momenti in cui l’africano si barrica nella sua stanza all’interno di una struttura che sembra completamente vuota, al modo improvviso in cui il gruppo dei rifugiati iraniani irrompe nel suo spazio e alla successiva fuga tra i campi che non porterá a niente, quasi un’immagine allegorica, cosí come l’impiccagione del rifugiato iraniano, sorta di replica di un supplizio politico conosciuto, all’interno di un inferno chiuso e garantito dalla societá civile.