É il rituale di purificazione del Mikveh che apre e chiude l’ultimo lavoro di Nadav Mishali, immagine ellittica ma non convergente, perchè suggerisce una lettura complessa della tradizione religiosa, osservata dal punto di vista dell’ortodossia ebraica come abluzione, ma allo stesso tempo segno di una vita senza scampo, condotta in apnea. Se con Barley in Love, Il regista israeliano aveva affrontato l’ostracismo della comunità ebraica nei confronti dell’omosessualità, Longing osserva le difficoltà di un processo identitario simile facendolo esplodere nella vita di una coppia sposata; viene in mente il Todd Haynes di Far From Heaven, dove all’America degli anni cinquanta e alla rilettura del melodramma Sirkiano, si sostituisce una comunità ortodossa le cui regole sono collocate fuori da un tempo Storico e totalmente immerse in quello sacro.
Mishali, con particolare attenzione ai dettagli, ci mostra un mondo fortemente genderizzato, con i rituali di fertilitá destinati alle donne, e l’esclusivitá maschile della Yeshivah, la lettura dei testi sacri. È proprio da questa distinzione simbolica che Longing trae la sua forza, esaminando il contesto tradizionale come un ostacolo all’affermazione della propria identitá. Da una parte la comunitá ortodossa impedisce l’espressione di una sessualitá al di fuori dei parametri legati alla condotta morale, dall’altra, l’accesso esclusivo all’apprendimento dei testi sacri consente l’emersione di un desiderio clandestino, lo stesso che spinge Michal in un angolo, ormai consapevole dell’omosessualitá del marito e costretta a reprimere desideri e aspirazioni, come in una vita vissuta sott’acqua.
Mishali svela agnizioni e scelte senza indugiare sui dialoghi, ma stratificando la presenza materiale di oggetti, rituali sacri e piccoli incidenti domestici, come l’acqua calda che brucia la mano di Michal; simboli collocati in quella posizione di transito tra quotidianitá e stra-ordinarietá della dimensione mistica, che sovrappongono libertá e prigionia spirituale.