“Dov’è una carogna in putrefazione gli uccelli da preda volteggiano e calano al suolo. Vita e morte sono abbinate. I vivi attaccano i morti, a loro profitto. I morti non ci rimettono nulla. Anzi guadagnano, in quanto vengono venduti. O sembra che guadagnino, se si ragiona in termini di guadagno e di perdita”
Il pensiero di Thomas Merton attraversa l’ultimo film di Paul Schrader. Lo attraversa in modo esplicito, con i fugaci riferimenti alle letture predilette da Padre Toller (Ethan Hawke), in forma più sottile nella tensione verso un misticismo “primitivo”, scaturito dall’incorporamento della denuncia sociale nella contemplazione, quasi zen, del “nessun corpo”.
“Age quod agis” è la spinta a cui Toller vorrebbe tendere, ma come per molti dei personaggi scritti dal regista americano, l’interpretazione del presente non viaggia sul percorso di un binario lineare. Il passato e i suoi demoni aprono un varco e si sovrappongono con gli stimoli di una nuova vita.
Descritto nella solitudine quotidiana di una delle prime chiese riformate in una città di fantasia dello stato di New-york, vive in una parrocchia-museo dove il contatto con le anime della comunità è limitato e la scrittura di un diario sostituisce, nel rigore e nella ricerca, i principi di una vera e propria vita monastica.
A richiedere il suo aiuto è Michael (Philip Ettinger); attraverso la moglie Mary Mensana (Amanda Seyfried) il giovane attivista legato ai movimenti ambientalisti di frangia estrema, reclama ascolto.
Cupio dissolvi e il pessimismo di Michael agiranno come un’infezione sull’anima già ferita della sua guida spirituale fino a far emergere quell’impossibilità di vivere e di adattarsi alle regole dell’esistente che caratterizza tutti i personaggi del cinema di Schrader.
L’apostasia di Toller si manifesta su più livelli, prima di tutto nei confronti di Abundant Life, il sistema economico che è alla base della stessa chiesa-museo e che gestisce un’azienda caritatevole di grandi dimensioni, ma più sottilmente mina la sua stessa professione di fede anche attraverso la storia fondativa della chiesa in cui opera.
In una sequenza brevissima, Toller guida una scolaresca dentro gli ambienti della chiesa museo, aprendo una botola sul pavimento. Le fondamenta della struttura architettonica nascondono il luogo che era destinato agli schiavi, una visione transtorica che interessa a Schrader, che emerge nuovamente e in modo beffardo durante l’esercizio di meditazione consigliato a Toller da Mary, dove il viaggio virtuale nella galassia lascia il posto alla visione nerissima di una catastrofe ambientale.
Ma che tipo di contatto con il mondo è quello di Toller? Nella visione di cui parlavamo Schrader infrange la dimensione spirituale con la brutalità del digitale, unico momento apparentemente sopra le righe rispetto ad un film dal rigore quasi bressoniano, sulla linea di Mishima, Patty Hearst, Affliction, The Light Sleeper e altre lucide simmetrie che conosciamo benissimo. Infrazione che allude alla virtualità dello sguardo e ad una realtà ormai completamente mediata. Ciò che spinge Toller a percepire la deriva del mondo è la sua conoscenza attraverso internet, la frequentazione di siti ambientalisti, la sua solitudine che collide con lo schermo di un notebook.
Quello che Merton definiva come subcosciente somatico, Schrader riesce a renderlo tangibile nella descrizione di un pericolosissimo mondo isolazionista, cercando l’origine del fondamentalismo proprio nella collisione tra radici cristiane e realtà. “Lo spaventoso infrangere di idoli” e la purificazione del santuario verso il vuoto e l’assenza dell’immagine, è la tensione che Schrader insegue in ogni immagine di First reformed, opera feroce e inquieta, attraversata da infinite contaminazioni, eppure di rarissima purezza.