L’interesse di Johann Lurf per la struttura ha una qualità fortemente deleuziana, come per il grande filosofo francese, il promettente cineasta viennese si serve di alcuni principi matematici per individuare il punto in cui la rappresentazione dogmatica del pensiero si spezza per aprirsi verso sistemi dinamici e non lineari. Prima di questo lungometraggio, gli esperimenti che Lurf ha affrontato nell’ambito del cinema breve potrebbero rientrare a pieno titolo nella ricerca inerente il “found footage” a patto di abbandonare l’idea di un cinema d’archivio o del “riutilizzo”, orientato alla documentazione, alla ri-scrittura della Storia, all’individuazione di “altri” percorsi narrativi.
L’invisibile che procede dal visibile, pur essendo quasi sempre al centro dei progetti di ri-mediazione, anche quelli più normativi, nel cinema di Lurf estremizza l’interstizio, assegnandogli una posizione prioritaria e creando quindi altre forme di vuoto, del tutto inedite, nello studio dell’immagine tempo. Scarti, code di raccordo su pellicola, gesti sospesi dal taglio e da violentissimi jump cuts, questo è il percorso dell’artista austriaco attraverso il grande archivio “conosciuto” del cinema mainstream globale.
Da una parte la vicinanza del tutto affettiva alla neo-avanguardia statunitense di Morgan Fisher, Bruce Connor e al cinema di Michael Snow, dall’altra c’è la ricerca della differenza come fattore esterno alla ripetizione della serie, aspetto che emerge più evidente in ★.
La volta celeste, le nebulose, lo spazio siderale, noi e le stelle. Attraverso 550 film dalle origini del cinema fino al 2017 Lurf costruisce un viaggio visuale e aurale, isolando lo spazio profondo, la sua simulazione attraverso le diverse tecniche impiegate, ma anche la rappresentazione di un punto di vista che dal basso, guarda verso l’alto. Siamo contenuti ma anche cornice rispetto all’immagine, inghiottiti o sovrastati, mentre guardiamo ★ mancano i volti, ma il planetario di “Rebel Without a Cause”, il cielo che spaura il cor sopra lo “Stromboli” rosselliniano, mantengono ancora una vicinanza tattile allo specchio dello schermo.
Il lavoro di Lurf insieme all’ingegnere del suono Nils Kirchhoff, tende a trattenere la consistenza materica dei rumori, dei residui di sfx e delle parole, ricercando l’integrità della sequenza “stellare” e quindi tagliandone la continuità, con una frammentazione del discorso sonoro, che più delle immagini evidenzia lo scarto e il salto.
Quello che Lurf costruisce è un procedimento asintòtico, votato all’espansione della stessa idea progettuale, nonostante la collocazione cronologica dei segmenti e la conservazione dei confini del frame, anzi è proprio la rinuncia alla normalizzazione, ai crops dell’immagine, alla sua ri-quadratura, a favore del formato originale soprattutto quando incongruo tra un salto e l’altro, ad aprirne le mille possibilità per superarne i limiti.
Ne deriva un time-travel sorprendente e allusivo, dove il relitto del discorso narrativo affidato solamente alla scheggia aurale, ha la stessa posizione di una radiofrequenza captata altrove e improvvisamente perduta.
Su un piano diverso si potrebbe ricorrere all’illusione pareidolitica o all’apofenia, nella connessione casuale tra i diversi patterns visivi che rappresentano la volta celeste o il viaggio nello spazio, diversa per tecniche impiegate, così vicina alla scienza e alla struttura neuronale.
Quella con il cervello non è una considerazione peregrina, perchè il viaggio visivo-auditivo di Lurf sembra ripetere il procedimento delle trasmissioni elettriche nel sistema sinaptico, con un bombadamento che costringe a nuove associazioni attraverso una reinvenzione del montaggio che a nostro avviso guarda a quello originario delle attrazioni come alla fisica quantistica.
Ma c’è anche una dimensione visuale, se per visuale intendiamo un sistema in movimento che come un organismo viene sottoposto a processi morfogenetici.
Facile e difficile quindi riferirsi alla “blackstar” bowiana ideata dal geniale Jonathan Barnbrook. Facile perché la scelta di affidarsi ad un codice ascii (il 9733) è evidente. Molto meno esposta l’idea di cercare in questa sintesi, la partenza per un’operazione di smontaggio e disseminazione di tutte le possibilità segniche.
Sull’everything di Bowie/Barnbrook abbiamo già dedicato un percorso articolato, l’unico in Italia, avvicinando quell’idea a molte altre stelle (Michael Moorcock, Tanya Harris, Frank Stella, Peter Ackroyd, Steven Lippman), per raccontarne le intenzioni e le possibilità polisemiche.
Questo è l’aspetto più importante della “stella” di Lurf, non ha forma né confini, si espande come il nostro sguardo, finalmente disancorato dai limiti di uno schermo.