martedì, Novembre 5, 2024

Jupiter’s Moon di Kornél Mundruczó – Cannes 70

Si spara ad un giovane immigrato, mentre questo cerca di oltrepassare il confine. In stato di shock e ferito, Aryan acquisisce improvvisamente il potere di alzarsi da terra a comando, come nella levitazione. Rinchiuso in un campo profughi, viene prelevato dal cinico Dr. Stern, intenzionato a sfruttare il suo segreto straordinario. Perseguitati dal feroce Laszlo, direttore del campo, i fuggitivi si danno alla macchia in cerca di salvezza e denaro.

Nuovo apologo per il regista ungherese Kornél Mundruczó che ci racconta un’Europa in crisi a partire dal contesto ungherese, il tutto condito con uno spirito magico che per stessa ammissione dell’autore guarda verso la fantascienza contemporanea. Esattamente come in White Dog o Tender Son Mundruczó gioca con l’idea della vita vista attraverso gli occhi di uno straniero, un diverso, un alieno. La domanda è: chi è il vero straniero? Si tratta di un punto di vista, un quesito quasi Bowiano; Giove, come Marte, è abbastanza lontano per sollevare nuove domande sulla fede, sui miracoli e sulla diversità.
È lo stesso autore a dirci che l’intenzione non era quella di creare un film sui rifugiati, ma di utilizzare la crisi presente come un contesto per re-immaginarsi la presenza dei miracoli.
Anche se Jupiter’s Moon è ambientato nel futuro, mentre era in fase di produzione, tutto è diventato più reale del reale
L’argomento era diventato troppo attuale per il regista ungherese e nelle sue intenzioni c’è, da sempre, la volontà di tenersi lontano dall’istantaneità della cronaca o dell’attualità politica

Sono più vicino all’idea di arte classica che reagisce come l’acqua sul calcestruzzo – dice il regista – corrodendo quindi la materia. Per me l’arte legata alla politica non ha alcun interesse, per questo abbiamo ripreso in mano il film per distanziarci dai fatti dell’attualità e cercare un nuovo linguaggio

Contro l’emergere del populismo Mundruczó cerca le forme di una nuova spiritualità totalmente slegata dalle religioni istituzionali, ma presente come afflato universale. L’idea di far volare un uomo si riferisce proprio alla possibilità di recuperare quel patto di fiducia con lo spettatore, sulla base di quello che è disposto a credere.

Per Mundruczó “L’incontro con un miracolo richiede l’attiva presenza dello spettatore e la sua partecipazione”

Jupiter’s Moon è certamente un film che parla di profughi ma c’è anche l’idea di una ricerca del divino come contatto necessario con l’assoluto. Aryan è la manifestazione materializzata di un’icona cristiana nel corpo di un profugo.
Come in White God l’uso della CGI è fortemente ridotto tranne per il fenomeno del volo che è difficile da rendere senza l’aiuto dell’elettronica, ma per il regista ungherese anche l’uso dell’animazione digitale passa da scelte naturalistiche, come quella di filmare interamente in pellicola 35mm.

La colonna sonora del film è dell’ottimo Jed Kurzel (Babadook, Snowtown Murders, Slow West, Alien: Covenant) che abbiamo intervistato in esclusiva qui su indie-eye

Redazione IE Cinema
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