lunedì, Novembre 18, 2024

La innocència di Lucia Alemany: recensione

"La Inocencia" è il primo film della regista valenciana Lucia Alemany. La recensione

Il mondo intorno a Lis non è innocente. Radicato nella tradizione patriarcale, riflette rituali predatori in ogni momento della vita comunitaria, stratificati nell’esercizio del potere. Interamente girato a Traiguera, parte della comunità autonoma Valenciana, il primo film di Lucia Alemany segue l’educazione affettiva di una quindicenne attraverso il contrasto, anche visivo, che si verifica tra l’esplosione dell’immaginario erotico femminile e la coercizione subita dal dominio dello sguardo maschile.

Interpretata da una vitalissima Carmen Arrufet, la giovane donna sconta il riconoscimento della propria libertà in uno spazio angusto e allo stesso tempo fondato sulla promiscuità comunitaria. Le strade del paese, le finestre che scrutano i vicoli, le donne sedute in circolo davanti alle abitazioni, come guardiane di una soglia che sembra saldare la dimensione privata con quella pubblica. Spazi liberati dalla morfologia urbana, ma destinati al controllo puntuale di una norma arcaica e mai più arcana.
Eppure è proprio sul confine tra le due dimensioni che si nasconde l’occhio del diavolo. Come nella società degli anni cinquanta, corpo e desiderio rappresentano una minaccia distruttiva per la coesione della comunità, i cui rituali, ormai svuotati di senso, non possono esser messi in discussione, pena la disgregazione di un ordine di relazioni invisibili, ma assolutamente palpabili. 

La relazione di Lis con ciò che viene ritenuto sacro viene violata più volte. Durante la processione patronale dedicata alla Vergine dell’assunzione, la ragazza forza insieme alle amiche ogni limite formale, lanciandosi in una danza dionisiaca che affianca l’incedere della statua mariana, sul ritmo del complesso bandistico. Quella piccola cosmogonia personale, diventa commozione e rifiuto della morte, davanti alla barbarie del Toro embolado, il cui destino viene seguito da Lis con una partecipazione che crea flagrante contrasto rispetto all’assuefazione delle compagne ad una violenza abituale.

L’amore per Néstor, tra droga e clubbing paesano, segna quel passaggio da una prigionia all’altra. Non sembra esserci alcuna differenza tra la gelosia del padre della ragazza e quella del fidanzato, se non nel contrasto di energie ferine che si contendono il possesso e il controllo di un corpo come fosse un territorio. Oltre all’espressione incondizionata di un erotismo che brucia nella sua manifestazione primaria, Lis cerca la vita nelle acrobazie che rappresentano il suo desiderio di frequentare la scuola circense di Barcellona. Una dimensione dove il corpo custodisce quel limite tra linguaggio e segni preformali, forza combinatoria che attraversa ogni movimento della ragazza entro i confini di una realtà minata. 

Non è un caso che il primo momento di risveglio dall’ipnosi patriarcale da parte della madre, venga sollecitato dal contatto con Remedios, madre della migliore amica di Lis, donna sola, figura sciamanica, strega inaffidabile per la comunità che la giudica. Una liberazione immediata e poi subito dopo negata dalla violenta delegittimazione che definisce i confini del controllo privato. 

Lucia Alemany, che porta dentro il film un pezzo della sua vita, segue con un rigore semplice e tanto diretto da togliere il fiato, la tenacia di uno spirito libero, ancora incontaminato dalle regole che formano gli equilibri del contesto sociale. Lis, nel rifiuto della costrizione, persegue senza freni la comprensione totale della vita anche negli aspetti più oscuri. Neanche quella che accoglie in grembo, nel disprezzo della famiglia e della comunità, può allontanarla dal desiderio di esprimere l’ebrezza per i colori dell’esistenza.

Così il cinema della regista spagnola, vicino per certi aspetti alle dinamiche del racconto sociale, ma assolutamente attento ai gesti come infinita sorgente di segni tra la violenza e lo stupore, rimane vitalmente acerbo nell’abitare opposte tensioni.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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